Escursioni nel vecchio blog

Da PubblicheNote, per non buttare quattro post a cui sono affezionato.

Un Grillo per la destra (30 marzo 2010)

Sono stato anch’io un “grillino”. Uno della prima ora, di quelli che hanno visto nascere i Meetup e ci hanno dedicato tempo libero e passione. Con orgoglio e dedizione. Di quelli che hanno fatto il V-Day 1, l’unico e irripetibile, lontano anni luce dagli odierni e sterili “No Qualsiasi Cosa Day”. Ero uno di quei “Garibaldini della democrazia” che avevano il sogno di sconfiggere la politica senza fare politica. O meglio, cercando di mutarne la prospettiva, occupandosi concretamente di problemi tangibili nel quotidiano delle nostre realtà locali. Per cambiare le cose dal basso, semplicemente.

Ma in questo abbiamo fallito. Non per mancanza di volontà, tutt’altro, ma per insufficienza di mezzi. Insufficienza di mezzi ed estremo carisma di Beppe, che attirava su di sè, a livello nazionale, tutte le forze dei Meetup, soprattutto di quelli “piccoli” come il nostro. E così le questioni locali sono sempre passate in secondo piano. E anche così hanno iniziato a insinuarsi le prime idee di costituirci in liste civiche per presentarsi alle elezioni: facile soluzione all’insufficienza di mezzi.

Certo, solo entrando nei consigli comunali, provinciali e regionali si può avere la possibilità di “fare qualcosa”. Ma non era quello il nostro ruolo, non era quello il nostro obiettivo. O per lo meno non era il mio, che allora me ne sono progressivamente allontanato. Fare politica senza mischiarsi con la politica “tradizionale”: questa credevo fosse e dovesse restare la nostra cometa, la nostra essenza, la nostra differenza. Noi dovevamo fare il “lavoro sporco” di aprire gli occhi alla gente, renderla cosciente, consapevole, per coinvolgerla nel cambiamento. Perchè la politica cambia solo se è la gente a cambiarla e noi dovevamo contribuire a destare le coscienze e dirigere il cambiamento.

In Beppe vedevo proprio questo: un inimitabile “risvegliatore”, il comico che avrebbe indossato lo Stivale per dare un calcio al torpore anestetico calato dal berlusconismo e ci avrebbe riconsegnato la possibilità di avere la politica, quella vera. Forse adesso Beppe si è fatto prendere la mano e ha portato con sè i suoi infaticabili e ammirevoli discepoli, a cui sono ancora affezionato. O forse invece ha scelto la strada giusta, ma ha sbagliato i tempi. Troppo presto, troppo in anticipo, se proprio doveva scendere nell’agone della politica “tradizionale”.

Hai fatto un exploit strepitoso, Beppe, ma che hai concluso? Avrai qualche consigliere, sei entrato là dove si può “fare qualcosa”. Ma con quei numeri che cosa puoi fare? Puoi portare la tua opinione direttamente nelle sedi opportune, certo. Ma la matematica, banalmente, non è un opinione. E’ concretezza, l’unica cosa che servirebbe adesso. Forse se n’è reso conto anche Di Pietro: ci serve la matematica per liberarci da quella che crediamo essere la causa principe dei mali del Paese. Poi potremo parlare di altro, poi potremo “fare qualcosa”. Ora i tuoi numeri ci hanno condannato a cinque anni di Lega, molto peggio della semplice “destra”. Adesso, Beppe, dei tuoi “numeri” non avevamo affatto bisogno.

I pilastri della discriminazione (7 ottobre 2009)

Ho provato a riflettere sulle motivazioni che possono aver spinto la Federcalcio a non prevedere il minuto di silenzio prima delle partite della scorsa giornata di campionato; e lo Stato a non proclamare (ad oggi e a funerali programmati) il lutto nazionale in memoria del disastro di Messina. Ma non sono riuscito a trovare una risposta che mi sembri plausibile, a parte le facili comuni polemiche che possono venire in mente, ma che tali, credo, restano.

Abete, presidente della Federcalcio, ha chiesto scusa e ha ammesso di non essere riuscito a coordinare la questione, cosa che invece era riuscito a fare sia ad aprile per il terremoto in Abruzzo sia per i sei Parà uccisi in Afghanistan tre settimane or sono. Fermo restando che mi sfugge cosa ci sia di tanto immane da coordinare, dovrebbe comunque essere un meccanismo ormai ben oleato, se non addirittura un semplice automatismo. Le scuse già generalmente servono a poco, dato che quel che è fatto ormai è fatto; di quelle maleodoranti del presidente federale, poi, i siciliani sanno bene cosa farsene.

Lo Stato, al momento, vale a dire alle 02.31 di mercoledì 7 ottobre, non si è ancora pronunciato sul lutto nazionale, nonostante la data dei funerali delle vittime sia già stata stabilita – sabato prossimo alle 10.30 – e il sindaco di Messina abbia invitato alla cerimonia le più alte cariche (le quali sabato dovrebbero già sapere se Alfano gli ha salvato le istituzionali chiappe o meno). Insisto su data e ora dei funerali perchè solitamente, o almeno così è avvenuto per Abruzzo, Viareggio e Parà, la proclamazione del lutto nazionale è contestuale a quella dei funerali. Per Messina, attualmente, nulla di tutto ciò.

Quello che mi fa girare i cabbasisi, per dirla alla Montalbano, non è ovviamente il fatto di godere di un minuto di silenzio o di una giornata di lutto, ma piuttosto l’ ingiustificabile discriminazione che si sta palesando. Ingiustificabile, ma palese: quindi adesso me la voglio spiegare.

L’abusivismo edilizio è stato assunto come principale spiegazione del disastro: i messinesi non meritano lo stesso trattamento perchè la tragedia è stata causata anche dall’abusivismo edilizio incontrovertibilmente presente in quelle zone? Innanzitutto, esso non deve essere utilizzato come il consueto specchietto per le allodole sulle altre cause, le quali tirerebbero in ballo responsabilità che valicano i confini dell’Isola, dopo essere debitamente passate per il Comune di Messina.

In secondo luogo, la colpa degli abusi edilizi non è da ricercare nè tra le bare all’obitorio nè tra chi quelle case le ha abitate e ora è in mezzo a una strada. Anche perchè risulta che molti edifici fossero stati dichiarati a norma, nonostante anche ad occhio fosse logico il contrario. Quella gente si è fidata, come spesso accade, degli “esperti” che hanno giocato con la loro pelle. Per questo non meritano il rispetto riservato ad altri?

Terzo: che differenza c’è tra le case messinesi costruite nel greto di vecchie fiumare e le case e l’ospedale di sabbia realizzati in Abruzzo? Non è altrettanto abusivismo edilizio costruire con materiale falso e di conseguenza improprio e inadatto? Come nota di colore, potrei aggiungere che la Società che vinse la gara per la messa in funzione dell’ospedale dell’Aquila è guardacaso la stessa che si è  aggiudicata la gara per la realizzazione del Ponte sullo Stretto, vale a dire Impregilo.

Ecco, Ponte sullo Stretto. Forse sono queste tre le paroline magiche che possono assurgere a spiegazione. L’opera faraonica a cui Napolitano ha fatto subito chiaro riferimento. L’opera faraonicamente inutile e fuori luogo attorno alla quale si combatte da anni. I più che immaginabili interessi che sorreggono il Ponte non possono incontrare nell’alluvione di Messina la tragedia che li ostacola.

Sono andati contro ogni studio geologico, di trasportistica, contro ogni valutazione d’impatto ambientale. Senza contare le proteste della cittadinanza, che da tempo non hanno più valore. Non potranno certo essere dei morti nel fango a mettere davanti agli occhi commossi dell’intera nazione, una volta per tutte, le oggettive e scientifiche lacune di un territorio che ha bisogno di tutto, tranne che del Ponte.

Laggiù dove abita il mio cuore (6 ottobre 2009)

Tre anni lontano dalla mia terra non li avevo mai provati.

E adesso che uno schermo me la mostra distrutta, alla consueta mancanza lancinante si unisce un dolore opprimente, carico di amore inconsumato. Un amore che è nato insieme a me, laggiù, dove conservo tutti i ricordi di un’infanzia felice, tra le coccole di una famiglia meravigliosamente numerosa e l’attaccamento morboso a una città e a una terra dalla quale dovevo drammaticamente separarmi per tornare quassù.

Ad ogni partenza, fino all’ultima di tre anni fa, con gli occhi carichi di lacrime guardavo quel lembo di terra allontanarsi e nascondersi progressivamente dietro le curve e dentro le gallerie della Calabria. Fino all’ultimo, quando la sua completa scomparsa mi faceva perdere nei ricordi appena vissuti di un’estate lunghissima, di un Natale stupendo o di una Pasqua troppo corta. Col pensiero già rivolto al successivo ritorno.

Quel posto disgraziato mi manca maledettamente. Per i suoi odori, per la sua luce, per i suoi colori, per quella sensazione di assoluta serenità che mi regala ogni cosa, che sia un amo da pesca o il dialetto che adoro parlare. E poi gli affetti, chiaro, di quella famiglia meravigliosamente numerosa.

Guardare Scaletta distrutta e riconoscerne nel fango quel che resta di palazzine e casette, la piazzetta della stazione, quella statale che m’innervosiva tanto, mi provoca un senso di assurda familiarità che mi stringe lo stomaco: non l’avevo mai nemmeno immaginata così, eppure la riconosco davvero.

E via di ricordi, nel traffico di quella statale che s’intasava per niente, come per qualcuno che si fermava a salutare. “C’ am’ a fari va! Leviti ammenz’i peti, cunnutu!” “Vadda aunni s’ann’ a salutari chisti, vadda!” Tardavano il mio arrivo ad Alì, il paese di 15 estati, oppure a Capo Alì, santuario di memorabili pescate.

Chissà che fine ha fatto quella pescheria tutta azzurra, che in quel caso sì, ringraziavo di poter studiare mentre si stava in coda sulla statale. Che poi statale era un complimento: stretta, praticamente a senso unico, tra le case in cui spiavi dentro, un metro e mezzo fuori dal finesrino. Gli anziani seduti in quel mozzicone di marciapiede dove riuscivano a farci stare le sedie ti guardavano un pò divertiti, un pò rassegnati a quel casino obbligato. E già, perchè quella è l’unica strada che attraversa Scaletta e subito dopo Itala, che inizia nella stessa piazza dove finisce Scaletta. E’ tutto attaccato, tutto unito in un caloroso, festante, irritante e allegro abbraccio paesano.

Chissà quali di quei volti che riconoscevo ogni anno adesso si è mangiato il fango, o trascinati nello Stretto non rivedrò al mio ritorno. Mi ha commosso la fierezza di chi ha avuto la fortuna di poter lavorare tra le macerie, la forza di quegli sguardi feriti ma determinati a ricominciare, la rabbia di chi non si rassegna perchè è abituato a non farlo.

Ti amo, Terra Mia. Non t’u scuddari.

I preveggenti del giorno dopo (5 ottobre 2009)

Berlusconi aveva previsto il disastro.

Bertolaso aveva previsto il disastro.

Buzzanca (sindaco di Messina) aveva previsto il disastro.

E il disastro si è prontamente verificato, libero di esprimersi in tutta la sua devastante prorompenza. Non ha incontrato ostacoli, niente che potesse circoscriverlo, tamponarlo, alleviarne gli effetti. Tantomeno, niente che potesse impedirlo. Perchè niente hanno fatto i tre miracolosi preveggenti* per evitare che le loro grandi profezie diventassero triste realtà. Eppure ne avevano non solo le possibilità, ma anche il preciso dovere.

Adesso, il primo ammette che in fondo non aveva previsto tutto: una pioggia così straordinaria gli era sfuggita. E si affretta a fare i suoi soliti proclami in cui promette ciò di cui la popolazione colpita avrebbe preferito non aver mai bisogno. Ma a lui conviene promettere dopo piuttosto che agire prima.

Il secondo, Super Guido, il più ricco dei supereroi, se la prende col terzo, perchè non è che può fare tutto la Protezione Civile, c’è bisogno che gli Enti Locali facciano la propria parte. E ha ragione, perchè il Comune di Messina sono quasi due anni che deve (anzi, ormai doveva) dare il via ai cantieri per la messa in sicurezza della collina di Giampilieri Superiore: ora che la collina si è portata via Giampilieri Superiore e Giampilieri Marina, il problema si è risolto da sè.

Super Guido, però, forse dimentica alcuni elementi, il primo dei quali è l’essere a capo della “Protezione Civile” e non del “Soccorso Civile”: egli pare infatti prediligere quest’ultima attività, che sia i messinesi sia gli aquilani gli avrebbero volentieri risparmiato. Non ci sarebbe soccorso se ci fosse protezione.

Dimentica anche che la Protezione Civile Siciliana, invece, il suo dovere l’aveva fatto, consegnando, non troppi giorni fa, un rapporto piuttosto preoccupante, per non dire allarmante, sulla situazione idrogeologica del messinese. Dimentica, poi, ma questo è un dettaglio, che anche il WWF e quei pericolosi sovversivi del movimento No Ponte avevano redatto, pubblicato e segnalato rapporti analoghi: l’ultimo, quello dei pericolosi sovversivi, risale al 26 settembre scorso, cioè al 26 settembre 2009, cinque giorni prima del disastro.

Il Comune di Messina, ovvero il terzo dei nostri magnifici preveggenti, lamenta, dal canto suo, mancanza di fondi; e quindi se la prende un pò col primo, un pò con Raffaele Lombardo, detto anche “Governatore della Regione Sicilia”, che per l’occasione ha assunto l’investitura di “Commissario Straordinario” per l’emergenza in questione. La sua prima preoccupazione è stata quella di ribadire che i dubbi sulla costruzione del Ponte sono fuori luogo.

Tutto questo inutile vociare, in ogni caso, evidenzia soltanto che le doti divinatorie di BeBeBù sono rimaste del tutto fini a sè stesse, perchè nel frattempo il presente racconta di una sessantina di persone morte nel fango, siano esse già “vittime accertate” o ancora “dispersi”. E narra anche di circa 600 altre persone che una casa non ce l’hanno più, per quanto abusiva potesse essere, certo non per colpa loro.

Tutte queste persone, gli abitanti di Giampilieri Superiore, Giampilieri Marina, Altolia, Scaletta Zanclea, Molino, Briga, avevano previsto anch’esse il disastro. Quelli di Giampilieri l’avevano addirittura vissuto appena due anni fa, senza vittime. Queste persone avevano segnalato il pericolo e chiesto aiuto: non c’era bisogno di nessuna dote divinatoria, bastava prestar loro attenzione.

* D’ora in poi, viste le loro magiche doti divinatorie, li chiameremo BeBeBù.

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