“Mai più paura”

Lina Ben Mhenni

Lina Ben Mhenni, attivista e docente tunisina di 28 anni, è uno dei simboli della Rivoluzione dei Gelsomini. Attraverso il suo blog “A Tunisian Girl” ha mostrato al mondo le scene di violenza e repressione che si verificavano in Tunisia durante gli scontri tra manifestanti e forze di sicurezza del regime. Questo suo forte impegno di denuncia e informazione – nonché servizio al popolo tunisino – le è valso la candidatura al Nobel per la Pace 2011 (vinto poi da altre tre donne per l’impegno in Africa e nel corso della Primavera Araba, ndr). Destituito Ben Ali, nel Paese si sono finalmente tenute elezioni libere. Ma la lotta di Lina per la democrazia non è terminata, perché, ci spiega, la Rivoluzione dei Gelsomini è stata tradita dal suo seguito.

Se dovessi descrivere con un titolo che cosa è cambiato in Tunisia dopo Ben Ali, cosa scriveresti?

Mai più paura.

Quali sono le somiglianze più preoccupanti tra il regime di Ben Ali e il governo di Ennahdha?

Una rivoluzione implica una rottura totale con il passato e con il regime spodestato. Ciò include le scelte economiche, politiche e sociali. Quando osserviamo la situazione della Tunisia in questo momento possiamo notare che le scelte del governo di Ennahdha e dei suoi alleati sono in continuità con quelle del regime decaduto. Come esempio possiamo citare il modello economico liberale, che sta dietro alla maggior parte dei problemi economici del Paese, insieme alla disoccupazione e all’emarginazione di una grande parte della popolazione. Politicamente, Ennahdha ha perseguito la strada tracciata da Ben Ali nella volontà di soddisfare l’alleato americano del passato: ciò ha contribuito a ridurre il ruolo del nostro Paese a quello di agente al servizio degli Stati Uniti. Per cui le scelte fatte vanno contro le libertà del popolo, che vuole liberarsi e avere la propria dignità.

Ben Ali, spinto – come hai anticipato tu – dai governi occidentali a fare da diga contro l’estremismo islamico, ha basato con eccessiva decisione il suo regime sulla laicità. Secondo te, il trionfo elettorale di un partito islamico come Ennahdha è più figlio di una reazione naturale alla repressione verso la religione operata da Ben Ali o piuttosto delle riforme promesse durante la campagna elettorale? Come ha condotto la campagna elettorale Ennahdha e quali sono state le sue promesse?

La repressione del regime di Ben Ali contro gli islamici che pregavano nelle moschee ha giocato un ruolo molto importante nelle scelte dei tunisini. In effetti, i leader di Ennahdha hanno vestito, e continuano a vestire, i panni delle vittime; ogni volta che vengono interrogati sui reali problemi del Paese ci tirano fuori questa storia delle vittime, come se fossero i soli ad aver subito repressione e torture. Ma hanno anche giocato la carta delle promesse, tra cui quella di 600 mila posti di lavoro in due anni. Durante la campagna elettorale, però, hanno anche promesso il paradiso a coloro che li avrebbero votati. Si presentavano come il partito di Dio e presentavano i leader degli altri partiti come dei miscredenti.

Considerando la tendenza verso il fondamentalismo islamico che stai denunciando, quali possono essere le vie per trovare il giusto equilibrio tra religione e democrazia in Tunisia? Le autorità si preoccupano di questo? Che cosa potrebbero fare in questo senso?

Le autorità chiudono un occhio su tutti gli attacchi alla libertà, per questo le considero complici. Se ci sono delle pressioni da parte della popolazione, loro mettono in atto reazioni che non sono decisive e non risolvono i problemi. Devono agire contro tutte le violenze.

Nella società civile c’è chi, come te, denuncia la situazione utilizzando i mezzi d’informazione; ma c’è anche chi lo fa in maniera più tragica e disperata, immolandosi. Durante il primo mese del 2012 sono già state cinque le persone immolatesi. Avete dimostrato con Ben Ali di saper prendere in mano le redini della situazione per cambiare il vostro Paese. Adesso il popolo tunisino in che misura è deluso dalla rivoluzione? Questa delusione gli darà la forza di tornare in piazza o invece ne ha fiaccato le speranze? Pensi possa tornare a protestare una moltitudine di gente equiparabile a quella di un anno fa?

I tunisini hanno visto della gente battersi per conquistare il potere, non persone che vogliono cambiare la situazione di questo Paese e dei suoi cittadini. Chi è al potere adesso non lavora per realizzare gli scopi della Rivoluzione, che per la maggior parte erano sociali: occupazione e dignità. Hanno creato altri problemi e hanno diviso ancor di più la popolazione. Non so se la gente protesterà nuovamente come l’anno scorso, ma so che ci sono sit-in e manifestazioni dappertutto, che altre persone si sono immolate dandosi fuoco. Qualche giorno fa, mentre passavo davanti alla kasbah ho visto una folla reclamare le dimissioni di questo governo. La manifestazione per le libertà che si è tenuta sabato 28 gennaio ha visto la partecipazione di più di 6.000 persone. La popolazione continua a protestare perché questo sistema di capitalismo selvaggio non ha risparmiato nessuno.

Realisticamente, tu cosa vedi nel futuro della Tunisia?

L’immagine è fosca. Non posso prevedere gli eventi, tuttavia non vedo alcun miglioramento per quanto riguarda gli scopi della Rivoluzione. Il numero dei disoccupati è aumentato, la gente fa sit-in per protestare e chiedere ai governanti di assumersi le proprie responsabilità. Per tutta risposta, lo sceicco Sadek Chourou, esponente di Ennhadha, nel suo discorso all’Assemblea Costituente del 23 gennaio scorso ha detto che dietro i sit-in c’è la sinistra e ha invitato a spezzare mani e gambe a chi vi partecipa.

* Sadek Chourou è uno sceicco di 63 anni. E’ stato tenuto in prigione dal regime di Ben Ali per vent’anni, gran parte dei quali in isolamento; liberato dalle autorità tunisine il 30 ottobre 2010 è stato eletto nelle file di Ennahdha dopo la Rivoluzione.

(Articolo pubblicato su TGregione.it)

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