Era ora che Matteo Renzi abbandonasse la rottamazione e passasse alle idee. Non che fino adesso non abbia parlato delle seconde, anzi, ma di lui è rimasta impressa solo la prima, dando così adito a molti di ironizzare o presumere sull’assenza di un programma concreto.
Programma che invece rappresenta la vera innovazione del sindaco di Firenze, non tanto (o non solo) per i contenuti, quanto piuttosto per la natura della sua composizione. Un testo definito, ma “in fieri”, dove i punti sono stati stilati e sviluppati da Renzi e il suo staff, ma verranno integrati e modificati dai comitati di cittadini sorti in suo appoggio. E’ questa la vera rottamazione della politica tradizionale: chiunque può partecipare alla creazione del programma.
Dei comitati pro-Renzi fanno parte persone di tutte le età, non solo trentenni, che si riuniscono per discutere il testo proposto dal sindaco di Firenze, correggendone lacune e affrontandone criticamente le tematiche. Ciascuno per la propria competenza, con il proprio bagaglio d’esperienza nella vita quotidiana. Le proposte vengono inviate al comitato centrale, che le organizza e seleziona eliminando doppioni e inadeguatezze. Sarà poi Renzi col suo staff, organizzato per settori di competenze, a chiudere il lavoro, redigendo il programma definitivo con le revisioni giunte dai comitati di tutto il Paese. E la Leopolda sarà probabilmente la sede della presentazione.
Questo, in buona sintesi, è quanto accade nel backstage del mondo renziano. La retorica della rottamazione, come da lui stesso sintetizzato, ha permesso allo sfidante di Bersani di crearsi un’identità e di assumere credibilità di fronte agli italiani stanchi delle solite facce. Ma i problemi del Paese non sono fisiognomici e arriva un momento in cui la gente vuole vedere cosa c’è dentro un contenitore che ha attirato il loro interesse. E quando una sostanza c’è è bene mostrarla, per non permettere che quell’attenzione venga dispersa o, peggio, si trasformi nell’ennesima delusione.
Ben venga dunque anche per questo il passo indietro di Veltroni, perché il dibattito che ha scatenato nel Pd è stata la scintilla che ha permesso a Renzi di accantonare la rottamazione. La melina di D’Alema è stato il pretesto conclusivo per il sindaco di Firenze, che ha voluto intendere anche questa come “passo indietro”, nonostante di ciò non si tratti. Non gli sarà sicuramente sfuggita la condizione posta dal presidente del Copasir: “se Bersani vince mi ritiro, ma se vince Renzi darò battaglia”. Ergo, o Renzi dà per scontato di perdere le primarie oppure crede che la rottamazione reale raggiungerà il suo scopo solo vincendole. Perché, c’è da chiedersi, la lotta di D’Alema si scatenerebbe dentro o fuori rispetto allo schieramento del Pd?
(Articolo pubblicato su qdR magazine)
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