Berlusconi, a riprovarci rischi il suicidio.

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Il tripudio di piazza che ha accompagnato le dimissioni di Berlusconi, definito “scalmanato” e “incivile” da chi ne è stato sentimentalmente toccato, era inevitabile e ampiamente prevedibile. Chi la auspicava fortemente da anni non poteva non scendere in strada a festeggiare la fine di un’epoca, “la liberazione”. Nonostante la grave situazione del Paese e tanto più perchè gli eventi si sono succeduti in maniera così insperata e repentina. Il berlusconismo, con le forti contrapposizioni che ha generato, ha portato alle estreme conseguenze i sentimenti destati nella gente dal Cavaliere. Perciò, solo chi non ha vissuto la società reale poteva non aspettarsi la festa che si è scatenata il 12 novembre.

Ma è stata davvero la fine di un’epoca? Silvio Berlusconi è davvero finito? Il dibattito si è aperto subito dopo la sua salita al Colle tra fischi e insulti, ma adesso, a distanza di una settimana, si può fare qualche considerazione più solida.

Il giubilo conseguente alla sua caduta lo ha sicuramente ferito, ma ne ha anche risvegliato quella “cattiveria agonistica” propria dell’inguaribile combattente che è. Così come il fatto di aver abdicato senza la sfiducia del Parlamento gli ha acceso quell’orgoglio di chi vuole riprovarci. Vede il Governo Monti come una provvidenziale parentesi durante la quale ha tutto il tempo di lavorare alla campagna elettorale e dalla quale attingere argomenti, prevedibilmente populistici, da utilizzare nella campagna elettorale stessa.

“Tornerò a fare l’imprenditore – ha dichiarato – ma l’imprenditore del partito, di un’azienda che deve riconquistare la fetta di mercato persa. Da qualche tempo non conferma una sua non ricandidatura e si dice voglia cambiare il nome al PdL. Rifondare il partito e rilanciarsi, insomma. Dare seguito alla discesa in campo del ’94 e alla salita sul predellino del 2007. Non c’è due senza tre.

Stavolta, però, non è detto che i suoi lo lascino fare. Una grossa fetta del PdL non è più disposta ad accettare un partito monopolizzato dal Cavaliere, con una dialettica nulla e una leadership indiscutibile. Lo stesso Alfano, che tornerebbe in aspettativa dopo la supplenza al vertice di Via dell’Umiltà, potrebbe vedere il suo futuro di leader politico compromesso dal ritorno di Berlusconi. Esponenti di spicco come Frattini e Scajola hanno mostrato di non trovarsi più a loro agio con i cosiddetti “falchi”. Anche per loro, forse, il 12 novembre è stata la fine di un qualcosa che non ha più senso rilanciare. Anche loro, forse, sentono aria di inevitabile cambiamento. Anche per loro, forse, è finita un’epoca. Il tentativo del Cavaliere di ripartire come ai vecchi tempi potrebbe scagliargli addosso il suo stesso partito.

La situazione del PdL a livello dirigenziale, peraltro, sembra rispecchiare quella della sua base. Al di là dei fedelissimi “senza se e senza ma”, veri e propri fan, in ampi settori dell’elettorato berlusconiano non si avverte più quell’attaccamento incondizionato al Cavaliere. Si riconosce certo la mancanza di un’alternativa, a cominciare dalla leadership del partito, ma si ravvisa anche qualche lacuna nell’azione di governo, specie in quella dal 2008 in avanti. Per non parlare delle vicende personali dell’ex-premier, che, seppur considerate semplicemente tali, hanno infuso qualche sensazione di stanchezza e imbarazzo nelle fasce più centriste e meno polarizzate del popolo azzurro.

Lo stesso Berlusconi, del resto, ha ammesso di aver perso “fette di mercato”. Il modo in cui sembra volerle riguadagnare, appunto alla vecchia maniera, potrebbe rivelarsi ormai superato. Tanto più se Mario Monti riuscirà nell’intento di riconciliare forze e clima politico del Paese. Il largo consenso che tutti i sondaggi attribuiscono al nuovo Premier lasciano pensare che sia il Paese stesso a sentire il bisogno di una riconciliazione, di un ritorno alla normale dialettica, oltre che di una ristrutturazione istituzionale, economica e politica.

In ultimo, ma probabilmente è l’aspetto più importante per Berlusconi, potrebbero essere anche i suoi figli a non appoggiarne più l’impegno politico. “Questo governo Monti per noi di Mediaset potrebbe rappresentare una boccata d’ossigeno” – ha dichiarato Piersilvio al Corriere della Sera. E ha aggiunto: “forse adesso si capirà quanto ci danneggia il clima di ostilità attorno alla nostra azienda. [...] Per motivi ideologici o di bottega, c’è chi ha sempre avuto interesse a confondere Mediaset col governo e viceversa”.

Leggerne tra le righe un auspicio che sia terminata, o che termini, l’azione politica del padre è fin troppo facile. Peraltro, non è neanche troppo difficile notare l’indiretta e probabilmente inconsapevole ammissione dell’esistenza, e della consistenza, del celebre conflitto d’interessi del Cavaliere. Nei figli prevarrà questo tipo di consapevolezza o preferiranno che continui a dedicarsi alla politica per non avere la sua ingombrante presenza nelle aziende?

Questa, insieme e forse ancor più delle altre, potrebbe essere la partita che deciderà il destino di Silvio Berlusconi e dell’Italia intera.

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