L’equità nella Riforma Fornero

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L’aspetto della riforma previdenziale che ha destato le reazioni negative più forti, prima ancora dell’innalzameno così netto e repentino dei requisiti per il pensionamento, è stato il tetto per l’adeguamento al costo della vita, fissato al doppio della pensione minima Inps, ovvero poco sotto i mille Euro. I sindacati hanno fatto fronte comune e sciopereranno insieme (non succedeva dal 2008, Governo Berlusconi), i partiti, in maniera trasversale, l’hanno criticato con più o meno forza, a seconda dell’intensità dell’appoggio a Monti.

Nel merito, in nome dell’equità, è quantomeno auspicabile che tale soglia venga innalzata, coprendola con l’aumento contestuale della tassazione sui capitali scudati o intervenendo su altre misure poco soddisfacenti in termini di uguaglianza sociale. Ma oltrepassando questo aspetto, è utile analizzare il resto della riforma usando sempre il filtro dell’equità.

LA PROSPETTIVA PENSIONISTICA

In via preliminare, bisogna considerare che il provvedimento, concepito alla luce dei giorni nostri, è ineludibilmente figlio delle dinamiche del mondo del lavoro contemporaneo. Dunque, va a salvaguardare in primis i giovani lavoratori in nero che non vedono versati i propri contributi fino a un’età “avanzata”. Dalle numerose tabelle elaborate dopo il varo della riforma, appare evidente che chi inizierà a lavorare, o meglio, a versare contributi, a 35 anni, andrà in pensione lo stesso anno di chi avrà cominciato a 24.

In questo modo la pensione è garantita anche a chi, emergendo tardi nel sistema previdenziale, prima vedeva l’addio al lavoro come un’inarrivabile chimera. Quindi, equità di trattamento all’interno di una stessa generazione.

Guardando a quelle precedenti, esse la pensione l’avevano ormai assicurata, forti di un’età contributiva ormai inoltrata anche grazie a un mercato del lavoro che, ai loro tempi, non aveva quei requisiti di estrema flessibilità che oggi hanno condotto a un divario generazionale notevole in termini di prospettiva pensionistica. La Riforma del Ministro Fornero si rivolge indistintamente a tutte le fasce d’età, ristabilendo così equità tra le generazioni precedenti, quelle attuali e quelle future. Anche se, come già trattato nel precedente post, il prezzo di questo riassetto lo paga chi era ormai prossimo alla pensione e ora se la vede bruscamente spostata in avanti.

Se equità vuol dire equilibrio tra le parti, del resto, per crearla laddove non c’è, è necessario che chi ha di più ceda qualcosa a chi è più svantaggiato, con tutti i traumi che una riorganizzazione si porta dietro. In buona sintesi, sotto il profilo della prospettiva temporale la Riforma crea e ristabilisce equità tra e nelle generazioni.

DAL RETRIBUTIVO AL CONTRIBUTIVO

L’altro elemento forte introdotto dal provvedimento è il sistema contributivo per tutti. Anche chi finora era trattato col retributivo, ovvero chi aveva almeno 18 anni di contributi maturati al 31 dicembre ’95, passa al nuovo regime per gli anni che gli mancano alla pensione (ora aumentati). Dunque, dal momento che il retributivo è senza dubbio più vantaggioso, si ripropone banalmente l’equità inter-generazionale.

Il sistema contributivo assomiglia un pò agli slogan pubblicitari delle tv on demand, “paghi quello che vedi”. In questo caso, prendi quello che hai dato: più contributi versi più alta sarà la pensione, e viceversa. E’ un regime meno remunerativo ma sicuramente più equo rispetto all’altro; e qui sta la “finezza” della Riforma, che permette allo Stato di risparmiare molto denaro introducendo, allo stesso tempo, parità di trattamento previdenziale.

Resta naturalmente aperto un aspetto critico, legato ai precari e ai lavoratori in nero. I primi hanno una vita contributiva incerta e discontinua, i secondi non versano contributi. Come potranno godere di una pensione sufficiente quando saranno anziani? Sempre alla Fornero, stavolta attraverso la Riforma del lavoro, spetta il compito di trovare una soluzione; possibilmente equa e con un bel sorriso.

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