Anche a Torino spararono sulla folla. Era il 1864.

Il 21 settembre 1864 la Gazzetta di Torino annuncia che la capitale del neonato Regno d’Italia si sposterà dalla città sabauda a Firenze. E’ il frutto di un accordo raggiunto con il governo francese, che si impegna a sgomberare Roma in cambio della promessa italiana di non invaderla: per dimostrare di non essere capitale “ad interim” in attesa della Città Eterna, Torino cederà sì lo scettro, ma a Firenze.

Sotto la Mole la protesta si scatena subito, prima con lanci di pietre e tafferugli davanti alla sede della Gazzetta – che ha definito lo spostamento una buona notizia – poi sotto casa del sindaco; e dopo ancora

“in Piazza Castello, sotto l’ufficio del ministro Peruzzi: toscano e come tale sospettato di aver ordito lo scippo. All’improvviso un drappello di carabinieri esce dal palazzo e spara a casaccio sulla folla: dodici morti, quaranta feriti. Ma i torinesi non scappano. Si fanno sotto ai carabinieri, urlando: «Tira, carogna! Tira, caplòn! [cappellone]».

Il giorno dopo i contestatori sono cresciuti di numero. Scrive il De Sanctis, testimone oculare: «Il popolo mantiene un aspetto di tristezza taciturna che fa paura». In piazza San Carlo avviene la più assurda delle carneficine. Guardie e carabinieri si sparano fra loro, entrambi convinti di rispondere al fuoco inesistente dei dimostranti, e lasciano sul selciato decine di vittime raggruppate al centro della piazza sotto la statua di Emanuele Filiberto (il Caval d’Brôns).

Il Re si rende conto di aver sottovalutato gli effetti del cambio di capitale e offre ai concittadini lo scalpo del presidente del Consiglio Minghetti, emiliano, affidando il governo al piemontese La Marmora”.

(“La Patria, bene o male” | Fruttero – Gramellini | Oscar bestsellers, novembre 2011)

La Torino del 1864, per qualche giorno, come Tunisi, Il Cairo, la Siria, Tripoli e Bengasi, Sanaa e Aden, Manama, Teheran, tra il 2010 e il 2011.

Il palliativo di Vittorio Emanuele II come quelli di Ben Ali con Rafiq Belhaj Kacem, Mubarak con Ahmed Nazif, Bashar Al Assad con Muhammad Naji al-Otari, la giunta militare egiziana con Essam Sharaf.

I richiami della storia, naturalmente, non conoscono frontiere.

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