Tikum Olam, riparare il mondo

Per la prima volta, Escursioni in campo aperto ha il piacere di avere un ospite. Si tratta di Roberto Bianco, giornalista (precario, ovvio) cuneese classe ’81, ex collega ma soprattutto grande amico e prossimo compagno d’un’avventura nascente. Per il giornale locale su cui scrive ha partecipato a una cerimonia nell’ambito delle celebrazioni in ricordo della shoah. Lettore di questo blog, mi ha girato il suo pezzo, senza aggiungere altro. Avrei voluto pubblicarlo prima, magari in occasione del Giorno della Memoria, ma non ne ho avuto modo; così, dato che la memoria non deve limitarsi a un giorno, lo propongo oggi, adattato a un pubblico non cuneese. E’ una delle tante storie di coraggio e solidale dignità che hanno caratterizzato l’Italia negli anni dell’occupazione tedesca.

“Il concetto ebraico sintetizzato dalle parole “Tikum Olam” rimanda all’imperativo di “riparare il mondo”. Secondo la tradizione mistica ebraica, chi si impegna per aiutare il prossimo in stato di pericolo o di necessità, e per realizzare concretamente nella società i valori di giustizia, amore e pace, contribuisce a riparare un mondo imperfetto”.
Con queste parole, domenica 14 gennaio, nella sala d’onore del piccolo Comune di Villar San Costanzo (Cn), ha iniziato il suo intervento Beppe Segre, Presidente della Comunità Ebraica di Torino, introducendo la cerimonia di consegna del certificato di benemerenza alla famiglia Allemandi, e al paese intero, per aver protetto e nascosto una famiglia ebrea durante la persecuzione razziale nazifascista. “Tutti noi ebrei italiani siamo consapevoli – ha spiegato Segre – di essere sopravvissuti grazie al comportamento di “giusti” che, in ottemperanza al precetto biblico (Levitico, XIX, 16), «non rimasero inerti davanti al sangue dei loro fratelli». Noi non saremmo in vita, oggi, senza la loro azione”.

A raccontare ciò che accadde quasi settant’anni fa è stata la maestra Gilda Allemandi, testimone oculare dei fatti. “Tra ottobre e novembre del 1943 venne a trovarci Marini, che era stato podestà qui a Villar. Chiese ai miei genitori di ospitare una famiglia di ebrei in una casa di nostra proprietà posta sulle prime pendici della montagna, isolata, nei pressi della Cappella di Santa Brigida. Mia mamma volle chiedere il parere al parroco di Villar. Conosceva i pericoli ai quali si esponeva, ma non aveva l’animo di rifiutare un aiuto che poteva significare la salvezza di quelle persone. Don Demaria non ebbe dubbi: fate bene ad aiutare chi ne ha bisogno, disse“.
Arrivarono così in paese gli Schlichter, tre ragazzi e i loro genitori. La sorella di Gilda, Lidia Allemandi, allora impiegata in Comune, fornì loro carte d’identità false con il nome di Zanetti. Tutti in paese sapevano, ma nonostante l’infuriare della guerra e delle rappresaglie nazifasciste, nessuno parlò.

A far emergere la storia degli Schlichter fu la testimonianza alla Comunità Ebraica di Mariangela Fassi, oggi residente a Torino, e un capitolo del libro “Di padre in figlio”, edito dall’Istituto Storico della Resistenza di Cuneo nel 2006; qui il partigiano “Kopeko”, Giuseppe Cavallera, racconta la vita della famiglia ebrea a Villar: “Erano polacchi – scrive – ed avevano fatto tanta strada; attraversata l’Europa erano finiti a Trieste e poi, dopo chissà quali inenarrabili altre peripezie, erano finalmente giunti a Villar”.
Da Israele, dove oggi risiede, la famiglia Schlichter fa sapere: “Se è vero che chi salva una vita salva un universo intero, alla famiglia Allemandi va il ringraziamento di diverse generazioni di Schlichter”. Oltre ai genitori e ai tre figli, sei nipoti e diciassette pronipoti.

Note a corollario.

Il fratello delle due Allemandi viene catturato il 2 gennaio 1943, durante la rappresaglia nazista a Dronero (Cn). Deve esssere fucilato, poi i tedeschi fanno bene i conti: dieci dei loro morti, due li hanno già ammazzati per sbaglio, così dalla fila che sta per essere giustiziata ne tolgono due; tra questi c’è lui, che si salva.
Anche uno dei figli degli Schlichter viene catturato durante una rappresaglia. Si salva perchè conosce il tedesco e diventa traduttore delle truppe naziste a Saluzzo (Cn); intanto informa i partigiani sui loro spostamenti:  nome di battaglia, “Il Corvo”.

 

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