Rossella Urru libera

Non voglio aggiungere retorica alla retorica. Lascerò che siano i  Re delle suggestioni a esprimere quelle che ci legano a Rossella Urru. Dalla gente di cui si prendeva cura alla sua famiglia, fino a noi, semplici spettatori inermi del suo dramma, ciascuno nella propria lingua le lanciamo tutti lo stesso pensiero: wish you were here, Rossella.

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Il PD cuneese ha deciso: appoggerà Garelli

Il parallelo con la Milano di Pisapia per il momento continua: campagna elettorale nello stesso stile, vittoria alle primarie contro i candidati del Partito Democratico e PD che ora decide di appoggiarlo. Gigi Garelli, senza dubbio, spera che l'”onda arancione” continui fino a maggio.

Analizzato e discusso il suo programma, valuatata la sua posizione rispetto alle dichiarazioni offensive degli Esuli in Patria (vedi paragrafo “Il PD alla resa dei conti”), il circolo cittadino dei democratici ha mosso ieri sera un passo importante. Non solo, naturalmente, per le prossime elezioni, ma forse anche per il proprio futuro. La decisione unitaria di sostenere il candidato uscito dalle primarie di coalizione, giunta senza ricorrere al voto del Direttivo, ha avuto come primo effetto le dimissioni del Segretario Dario Chiapello: “considero così concluso il mio mandato: quello di ricompattare il Pd in vista delle elezioni, in modo che fosse rispettato il risultato delle primarie” (lastampa.it, 22/02/2012).

La ratifica ufficiale del programma di Garelli da parte del Partito Democratico arriverà oggi alle 18, dopodichè inizieranno le grandi manovre degli scontenti. Perchè Chiapello ha raggiunto sì il suo obiettivo, ma chi non ci sta è difficile che si adegui alla linea stabilita ieri sera. Giancarlo Boselli, per esempio, potrebbe rispettare almeno uno dei suoi annunci: non quello di ritirarsi dalla politica, ma quello di fondare una lista civica alternativa qualora il PD avesse appoggiato Garelli. Si attendono anche le mosse di Elio Rostagno, un altro dei possibili addii; mentre Patrizia Manassero, la terza dei candidati PD usciti sconfitti dalle primarie, dovrebbe rimanere nei ranghi.

E il sindaco Alberto Valmaggia? Due settimane fa si è dissociato da Garelli annunciando di voler ricomporre l’alleanza di centrosinistra che lo ha sostenuto (vedi paragrafo “E poi?”), ma ora che il PD gli ha voltato le spalle è probabile che segua Cuneo Solidale, il movimento centrista di cui è espressione e che annuncerà in questi giorni il suo candidato. Oltre a restituire la tessera del PD, una scelta del genere potrebbe portare Valmaggia ad appoggiare una coalizione del tutto inedita in città: dentro ci starebbero l’UdC, gli scontenti del PD e i loro omologhi del PdL.

- Aggiornamento -

Accennavo qui e nel precedente post alla probabile uscita di Giancarlo Boselli dal PD nel caso in cui il partito avesse deciso di appoggiare Gigi Garelli. E nel primo pomeriggio di oggi, il sito de La Stampa – Cuneo ha dato la notizia delle sue dimissioni dalla relativa Segreteria Regionale. La decisione è maturata in seguito a un altro articolo de lastampa.it, dal quale Boselli ha appreso di essere oggetto di un provvedimento disciplinare a causa di “inappropriate esternazioni”.

Boselli ha anche precisato che non rinnoverà la tessera del PD, proprio perchè in disaccordo con la scelta del partito di sostenere il vincitore delle primarie. Seguirà invece la svolta di Valmaggia, tenendo dunque fede al secondo dei due annunci citati in questo post. Il fatto che non avesse ancora rinnovato la tessera pare segno evidente del suo attendismo maturato dopo le primarie.

Il provvedimento disciplinare del Partito Democratico ha così fornito un ottimo assist a Boselli per la rottura definitiva. La lista che andrà a formare, perciò, appoggerà il candidato sindaco di Cuneo Solidale: tra i papabili, Guido Lerda (attuale Assessore a Mobilità e Trasporti, PD), Alessandro Spedale (Assessore uscente alla Cultura), Mino Taricco (consigliere Regionale, PD) e Franco Chittolina (Fondazione Cassa di Risparmio di Cuneo). Il primo tassello, quello di centrosinistra, della nuova coalizione che sfiderà Garelli si va dunque formando. Vedremo se il suo puzzle verrà completato anche coi tasselli di centrodestra.

[Qui l'articolo con cui lastampa.it ha annunciato le dimissioni di Boselli e qui quello sul provvedimento disciplinare]

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Le primarie a Cuneo: dal successo popolare al disastro politico

Il contesto

Cuneo, poco meno di 56 mila abitanti, è il capoluogo della terza provincia più estesa d’Italia. Città tradizionalmente cattolica, arriva da 17 anni di governo del centrosinistra, guidato negli ultimi 10 dal sindaco Alberto Valmaggia, che ha raggiunto così il limite di mandati consecutivi. Espressione della lista civica centrista Cuneo Solidale, e iscritto al Partito Democratico, Valmaggia ha incarnato l’essenza cattolica della sinistra cittadina. Ha lavorato con sobrietà ed equilibrio, guadagnandosi livelli di gradimento costantemente alti da parte della cittadinanza, nonostante scelte anche molto discutibili da parte di alcuni suoi assessori.

Verso le primarie

Indire le primarie di coalizione per decidere il successore di Valmaggia non è stato un meccanismo immediato. I partiti minori si sono subito schierati a favore, mentre il PD si è diviso, anche per questioni di aspirazioni personali. Il vicesindaco in carica Giancarlo Boselli, ad esempio, sostenitore delle primarie, era in campo già da qualche mese con una personale campagna elettorale. Nel partito aleggiava anche la presenza di un “pezzo da 90″ del panorama politico cuneese: Elio Rostagno, predecessore di Valmaggia sulla poltrona di sindaco, occupata dal 1995 al 2002. Proveniente dalla Margherita, Rostagno può contare su carisma, reti d’influenze e “popolarità”, ma soprattutto sull’appoggio dei poteri forti della città: diocesi e Fondazione Cassa di Risparmio di Cuneo. La terza incomoda era Patrizia Manassero, assessore al Bilancio uscente e amministratrice capace di farsi apprezzare anche da partiti come la Federazione della Sinistra.

Le primarie dunque si fanno e il PD schiera i tre candidati:  Rostagno, Manassero e Boselli. La Costituente dei Beni Comuni, formazione composta da Federazione della Sinistra, associazioni e movimenti cittadini, presenta un professore di filosofia, Gigi Garelli; mentre Franca Giordano, Provveditore agli Studi, è appoggiata da Sinistra, Ecologia e Libertà più alcune liste centriste. Fuori restano l’Italia dei Valori e Cuneo Solidale, la lista del sindaco, il quale sarà garante e presidente del comitato organizzatore delle primarie; Cuneo Solidale le osteggerà con tanto di manifesti “noi non partecipiamo” e con una oggettiva campagna stampa mirata innanzitutto contro Garelli. Il candidato “dei comunisti” proviene infatti da ambienti legati all’associazionismo cattolico, non clericale ma assistenzialista. Questa miscela, che agli occhi di molti pare vincente, è fortemente invisa alla diocesi.

La campagna elettorale non è aspra. Boselli prosegue le conferenze su temi economici e sociopolitici, mentre Rostagno, Giordano e Manassero vanno sul classico: affissioni, volantinaggio e qualche appuntamento pubblico. Garelli sceglie lo “stile Pisapia“, incontrando la cittadinanza in affollate assemblee. Questo gli consegna la palma del favorito per quasi tutta la campagna; solo nelle settimane immediatamente precedenti alle primarie, i rumors parlano di un testa a testa tra Rostagno e Manassero.

Le primarie

Il 25 novembre 2011 è il giorno delle urne. Com’era stato per Milano, l’età minima per il voto è 16 anni e possono partecipare anche gl’immigrati con regolare permesso di soggiorno. I giornali locali dicono che un’affluenza al di sotto delle 4.000 persone sarebbe da considerarsi un flop; alle primarie del 2005, quelle stravinte da Prodi, si recarono alle urne in 3.500 (solo italiani e solo maggiorenni). Il favorito ufficiale è Elio Rostagno.

La risposta della cittadinanza si manifesta con lunghe code ai seggi, specie nel pomeriggio e la sera. Votano in 5.308, il 12% degli aventi diritto, e consegnano la vittoria a Gigi Garelli. Per lui 1.456 preferenze, 1.186 a Rostagno, 1.168 alla Giordano, 961 alla Manassero e 569 a Boselli. I candidati perdenti, chi subito, chi con qualche ritardo, si complimentano col vincitore; Boselli annuncia il ritiro dalla politica per tornare al suo mestiere in banca.

E poi?

Un risultato del genere, soprattutto quello relativo all’affluenza alle urne, pareva in grado di mettere d’accordo tutti, se non altro per ragioni di opportunità politica. Cuneo Solidale ingoia il boccone amaro, ma non lo manda giù; il PD attende i “Tavoli di Lavoro”, luogo in cui trovare una mediazione all’interno della coalizione per un programma il più possibile comune e condiviso. E qui cominciano, come da copione, i problemi. Lo sforzo per trovare una sintesi c’è, ma su alcuni punti programmatici delicati (circonvallazione e Piano Regolatore in primis) nessuno vuole mollare.

Si procede tra ambiguità a scaramucce fino alla chiusura dei lavori. Poi, tra giovedì 9 e venerdì 10 febbraio, sulla stampa locale arriva la notizia che non ti aspetti: il sindaco Valmaggia, imparziale fin dalle primarie, dove ha evitato di appoggiare anche i suoi due assessori, prende posizione e si dissocia da Garelli. “Avendo atteso e verificato lo svolgimento dei Tavoli di Lavoro, non ho riscontrato evoluzioni che segnino una vera continuità, pur con i necessari aggiornamenti, rispetto al cammino fatto in questi anni, nè una reale convergenza programmatica. Così stando le cose non potrò riconoscermi nè appoggiare la candidatura di Garelli espressa dalle primarie e darò il mio apporto per una soluzione diversa, che consenta di ricomporre l’intera coalizione di centrosinistra” (La Guida, 10/02/2012).

Insomma, il garante delle primarie si dissocia dal risultato delle primarie stesse. E perdipiù, il sindaco prende le distanze dal voto di oltre cinquemila cittadini, nonchè elettori del suo schieramento politico. Una svolta così netta, improvvisa e soprattutto insolita da parte di Valmaggia ha alimentato anche i sospetti di una regia coordinata da diocesi e Fondazione CRC. I movimenti della Fondazione dietro le quinte della scena politica cuneese, in particolare, sono stati fatti emergere dal Senatore Giuseppe Menardi addirittura a Palazzo Madama (qui il dettagliato resoconto de lospiffero.com).

Com’è ovvio, l’evento ha scoperchiato il Vaso di Pandora della coalizione, rimescolando tutte le carte. La questione ora è stare col sindaco uscente, rimanere fedeli alle primarie o correre da soli. Tutte le certezze dell’elettorato di riferimento vengono spazzate via, o forse no: ai giornali sono giunte numerose lettere in aperta polemica con Valmaggia. “Scredita la decisione dei cittadini” – dicono; difficile dar loro torto. Il sindaco è poi tornato lievemente sui propri passi, precisando di credere nelle primarie ma che non si è stabilito prima, e in modo chiaro, il programma di governo. L’accordo sottoscritto dai partecipanti alla contesa, però, era di condividere solo alcune linee guida, rimandando la redazione di un programma comune a dopo che le primarie avessero espresso il candidato sindaco. Patto, questo, ratificato anche da Valmaggia in qualità di presidente e garante dell’organizzazione.

Il PD alla resa dei conti

Il Primo Cittadino ha chiesto al Partito Democratico di prendere una posizione netta in suo favore, per tener fede al cammino fatto insieme nelle due legislature. Ma il PD, in teoria, dovrebbe rispettare il risultato delle primarie, come auspicato sia dal Segretario Regionale Gianfranco Morgando sia da quello Provinciale Emanuele Di Caro, che chiosa: “Stupisce che a compiere tale passo falso sia Alberto Valmaggia, persona accorta, amministratore capace e concreto, politico cauto, il quale non è solo il sindaco che per dieci anni ha guidato il centrosinistra in città, ma anche il garante delle primarie di Cuneo, colui che ha contribuito a redigere le linee guida su cui si è aggregata la coalizione delle liste che vi hanno partecipato” (lastampa.it, 10/02/2012).

La componente cittadina del partito si è però spaccata in tre. Da una parte c’è chi ha preso la palla al balzo per rompere con Garelli e seguire Valmaggia nella ricostruzione dell’alleanza passata, a meno che il professore non dimostri concretamente di voler operare in continuità con l’amministrazione uscente. Esponente di questa linea è Giancarlo Boselli, fervente sostenitore delle primarie ma ultimo classificato alle urne. Il suo annunciato addio alla politica parrebbe dunque rimandato, anche perchè sembra voglia costituire la lista “Democratici per Cuneo”, nel caso il PD non segua Valmaggia. Rostagno e Manassero sono invece indecisi tra la fedeltà al risultato del 25 novembre e la continuità con la Giunta precedente. La terza corrente segue la linea provinciale, regionale e nazionale per l’appoggio al vincitore delle primarie.

Il 15 febbraio, all’assemblea del circolo cittadino, si sarebbe dovuta decidere una posizione unitaria, ma il caso ha voluto che la versione definitiva del programma di Garelli arrivasse al PD proprio all’inizio della riunione. Di conseguenza si è scelta una via diplomatica: riavvicinamento al professore, visti i suoi sforzi di mediazione e la fedeltà dovuta alle primarie, ma solo se egli rispetterà tre condizioni. La prima, in ordine di logica, è la proroga dei termini per l’esame del testo definitivo; di conseguenza Garelli ha spostato al 17 febbraio la scadenza per la presentazione delle proposte finali da parte degli (eventuali) alleati; comunicherà loro il programma, stavolta davvero definitivo, oggi, lunedì 20. La seconda condizione posta dal Partito Democratico è la presa di distanza del vincitore delle primarie dai duri attacchi che gli Esuli in Patria, componente della Costituente dei Beni Comuni, hanno mosso a Valmaggia e alla sua Giunta (l’autore di tali attacchi, Ugo Sturlese, si è poi dimesso dal coordinamento della Costituente, ndr). Infine, Garelli dovrà riconoscere “il ruolo centrale del Pd nell’ambito della coalizione” (il Segretario cittadino Dario Chiapello a lastampa.it, 16/02/2012).

La decisione ultima del Partito Democratico arriverà tra mercoledì 22 e giovedì 23 febbraio, dopo aver visionato, discusso il programma e verificato il rispetto delle condizioni poste al professore. Franca Giordano, la candidata appoggiata da SEL e in rotta con le liste centriste, sembra orientata a sostenere Garelli, mentre l’Italia dei Valori condivide molti suoi punti programmatici, ma non ha ancora escluso del tutto la possibilità di correre da sola.

To be continued…

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Tikum Olam, riparare il mondo

Per la prima volta, Escursioni in campo aperto ha il piacere di avere un ospite. Si tratta di Roberto Bianco, giornalista (precario, ovvio) cuneese classe ’81, ex collega ma soprattutto grande amico e prossimo compagno d’un’avventura nascente. Per il giornale locale su cui scrive ha partecipato a una cerimonia nell’ambito delle celebrazioni in ricordo della shoah. Lettore di questo blog, mi ha girato il suo pezzo, senza aggiungere altro. Avrei voluto pubblicarlo prima, magari in occasione del Giorno della Memoria, ma non ne ho avuto modo; così, dato che la memoria non deve limitarsi a un giorno, lo propongo oggi, adattato a un pubblico non cuneese. E’ una delle tante storie di coraggio e solidale dignità che hanno caratterizzato l’Italia negli anni dell’occupazione tedesca.

“Il concetto ebraico sintetizzato dalle parole “Tikum Olam” rimanda all’imperativo di “riparare il mondo”. Secondo la tradizione mistica ebraica, chi si impegna per aiutare il prossimo in stato di pericolo o di necessità, e per realizzare concretamente nella società i valori di giustizia, amore e pace, contribuisce a riparare un mondo imperfetto”.
Con queste parole, domenica 14 gennaio, nella sala d’onore del piccolo Comune di Villar San Costanzo (Cn), ha iniziato il suo intervento Beppe Segre, Presidente della Comunità Ebraica di Torino, introducendo la cerimonia di consegna del certificato di benemerenza alla famiglia Allemandi, e al paese intero, per aver protetto e nascosto una famiglia ebrea durante la persecuzione razziale nazifascista. “Tutti noi ebrei italiani siamo consapevoli – ha spiegato Segre – di essere sopravvissuti grazie al comportamento di “giusti” che, in ottemperanza al precetto biblico (Levitico, XIX, 16), «non rimasero inerti davanti al sangue dei loro fratelli». Noi non saremmo in vita, oggi, senza la loro azione”.

A raccontare ciò che accadde quasi settant’anni fa è stata la maestra Gilda Allemandi, testimone oculare dei fatti. “Tra ottobre e novembre del 1943 venne a trovarci Marini, che era stato podestà qui a Villar. Chiese ai miei genitori di ospitare una famiglia di ebrei in una casa di nostra proprietà posta sulle prime pendici della montagna, isolata, nei pressi della Cappella di Santa Brigida. Mia mamma volle chiedere il parere al parroco di Villar. Conosceva i pericoli ai quali si esponeva, ma non aveva l’animo di rifiutare un aiuto che poteva significare la salvezza di quelle persone. Don Demaria non ebbe dubbi: fate bene ad aiutare chi ne ha bisogno, disse“.
Arrivarono così in paese gli Schlichter, tre ragazzi e i loro genitori. La sorella di Gilda, Lidia Allemandi, allora impiegata in Comune, fornì loro carte d’identità false con il nome di Zanetti. Tutti in paese sapevano, ma nonostante l’infuriare della guerra e delle rappresaglie nazifasciste, nessuno parlò.

A far emergere la storia degli Schlichter fu la testimonianza alla Comunità Ebraica di Mariangela Fassi, oggi residente a Torino, e un capitolo del libro “Di padre in figlio”, edito dall’Istituto Storico della Resistenza di Cuneo nel 2006; qui il partigiano “Kopeko”, Giuseppe Cavallera, racconta la vita della famiglia ebrea a Villar: “Erano polacchi – scrive – ed avevano fatto tanta strada; attraversata l’Europa erano finiti a Trieste e poi, dopo chissà quali inenarrabili altre peripezie, erano finalmente giunti a Villar”.
Da Israele, dove oggi risiede, la famiglia Schlichter fa sapere: “Se è vero che chi salva una vita salva un universo intero, alla famiglia Allemandi va il ringraziamento di diverse generazioni di Schlichter”. Oltre ai genitori e ai tre figli, sei nipoti e diciassette pronipoti.

Note a corollario.

Il fratello delle due Allemandi viene catturato il 2 gennaio 1943, durante la rappresaglia nazista a Dronero (Cn). Deve esssere fucilato, poi i tedeschi fanno bene i conti: dieci dei loro morti, due li hanno già ammazzati per sbaglio, così dalla fila che sta per essere giustiziata ne tolgono due; tra questi c’è lui, che si salva.
Anche uno dei figli degli Schlichter viene catturato durante una rappresaglia. Si salva perchè conosce il tedesco e diventa traduttore delle truppe naziste a Saluzzo (Cn); intanto informa i partigiani sui loro spostamenti:  nome di battaglia, “Il Corvo”.

 

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In Sicilia è l’ora dei forconi

Immagine movimentoperlagente.it

I siciliani hanno deciso: ne hanno abbastanza. Il Movimento dei Forconi, nome affatto casuale, da oggi mobilita l’isola. “La Rivoluzione parte dalla Sicilia – recita il loro manifesto – Agricoltori, Commercianti, Artigiani, Operai, Autotrasportatori, Braccianti agricoli  e quanti vogliono decidere le sorti di questa terra e dei loro figli. Siete tutti invitati a mobilitarvi”. E precisano “Non una guerra tra poveri, ma contro questa classe dirigente che vuole farci pagare il conto. Vogliamo scrivere una pagina di storia e la scriveremo. Siamo siciliani veri ed invendibili”.

Fanno sul serio, molto sul serio. Come chi tiene tutto dentro, porge l’altra guancia, ogni tanto si lamenta, ma poi tracima: cinque giornate di blocco assoluto. E chissà se saranno solo cinque. Intanto ci sono sfilate e blocchi a Gela, hanno aderito i traghetti “Caronte” che fanno la spola nello Stretto , l’autostrada Palermo-Sciacca è bloccata da sei kilometri di veicoli (in aumento) e ci sono blocchi anche al porto del capoluogo.

Il pretesto è stato il caro carburanti, che in Sicilia è gravato da addizionali regionali maggiori rispetto a gran parte d’Italia. Ma quella che si vuole portare avanti è una lotta sociale, condotta da tutte le componenti, dagli imprenditori ai braccianti. Contro la classe dirigente siciliana prima di tutto, nei confronti della politica nazionale in ultima istanza.

La Sicilia con dignità alza la testa e dice basta“. Nel video qui sotto c’è una sorta di manifesto della protesta. Questo blog seguirà costantemente la mobilitazione attraverso un liveblogging. Chiunque voglia contribuire per fornire immagini, video, comunicati o quant’altro, può inserire un commento a questo post, scrivermi all’indirizzo vito@vitocosta.it oppure su Twitter @Vi_Cos.

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Sempre ai domiciliari in attesa del processo. Può avere senso?

L’arresto di Francesco Schettino, il Comandante della Costa Concordia, ha rinfocolato il dibattito sull’opportunità della custodia cautelare in carcere in attesa del processo. Polemica sollevata con forza dal deputato PdL Alfonso Papa dopo la scarcerazione e riproposta dal caso Cosentino.

Schettino è stato fermato per pericolo di fuga e possibile inquinamento delle prove (il terzo requisito per l’attuazione del provvedimento restrittivo è l’eventualità di reiterare il reato). Verificata la sussistenza di questi attributi, la misura coercitiva è anche naturale oltrechè legittima. L’aspetto in discussione è più che altro se sia appropriato mettere alla sbarra persone la cui colpevolezza è ancora da giudicare, considerando anche che vige la presunzione d’innocenza come principio di tutela costituzionale.

Essendo necessaria la misura restrittiva in presenza dei tre requisiti di cui sopra, ma “umanamente” dubbio il ricorso al carcere, può aver senso l’ipotesi degli arresti domiciliari automatici come provvedimento cautelare in attesa del processo? Potrebbe aiutare anche ad affrontare il sovraffollamento dei penitenziari.

Qui tutti i casi per i quali sono attualmente previsti i domiciliari.

Il mio è un interrogativo da cittadino e giornalista, non certamente da tecnico. Per questo chiedo aiuto a chi padroneggia la materia: che ne pensate?

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Chi ce l’ha più duro?

Foto 24emilia.com

Bossi o Maroni?

Il campo di battaglia è sempre stato Berlusconi, sia quando siedevano accanto al Cavaliere sui banchi del Governo sia adesso, divisi dall’opposizione a Monti. E in nome di un’alleanza futura si è consumato un’altro strappo, con Maroni ligio alle posizioni originarie della Lega e il Senatùr addolcito dalle pressioni di Arcore su Cosentino. Ben inteso, l’ideologia leghista a cui si è attenuto “Bobo” non è certo il senso istituzionale di rispetto per l’indipendenza della magistratura, quanto più l’incoerenza tra l’invocazione dell’autonomia padana e il salvataggio di un parlamentare meridionale accusato d’appoggio alla Camorra.

Dopo il cambio di maggioranza, l’ex Ministro dell’Interno aveva iniziato una tournée di incontri al Nord, quasi fosse in campagna elettorale per le primarie della Lega. A Pontida la base “padana” era stata chiara: “Roberto Maroni Presidente del Consiglio” – recitava un grande striscione esposto di fronte al palco. Lì, forse, è iniziato il duello vero. Mai come allora Bossi ha percepito un’insidia seria alla sua leadership, mai come allora Maroni ha sentito così raggiungibile la successione al trono. Tant’è che i fedelissimi del fondatore avevano attribuito quello striscione a una semplice e ristretta claque. La scena si è ripetuta qualche settimana fa, quando alla “Berghem Frecc” di Albino (Bg) la Lega ha annunciato la manifestazione di domenica prossima a Milano. I due si sono punzecchiati sul palco, tra il serio e il faceto, il pubblico ha intonato cori per Maroni.

Il Senatùr, da buon inventore del “celodurismo”, ieri sera ha preso in mano la situazione, preannunciando di fatto l’espulsione dell’avversario dal partito. Così la Lega una secessione finalmente la otterrà, ma sarà lei a dividersi in due. La stessa operazione l’aveva condotta Silvio Berlusconi contro Fini, condannandosi al viale del tramonto. Con lui Bossi si è legato a doppio filo e per questo motivo potrebbe seguirlo molto presto.

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No all’arresto del porcellum

Ieri è stato il giorno della doppia sentenza. Quella vera e propria della Consulta sull’ammissibilità dei referendum elettorali e quella artificiosa della Camera sulla richiesta d’arresto per Nicola Cosentino. Artificiosa perchè il ramo basso del nostro Parlamento doveva decidere sulla presenza o meno del fumus persecutionis nei confronti di un suo membro, invece si è pronunciato nel merito delle accuse. L’incipit del discorso di Maurizio Turco (Radicali) è emblematico:

“Signor Presidente, i radicali non condividono la rielaborazione che è stata fatta da parte della Giunta della rielaborazione fatta dagli inquirenti, che hanno configurato, loro, il collega Cosentino quale referente nazionale dei casalesi. I giudici devono giudicare il collega, ma riteniamo che nei limiti dei nostri doveri e delle leggi la richiesta di arresto sia frutto di fumus persecutionis”.

Oltrechè emblematico, anche funambolico.

Vedendo la baraonda che si è creata in Aula questa mattina sull’argomento e sentendo le dichiarazioni di voto di alcuni deputati, mi sono chiesto (come spesso accade sicuramente un pò a tutti): “ma uno così cosa ci fa in Parlamento?”. Risposta: “beh, il porcellum lo ha senza dubbio riempito di (eufemismo) personaggi dubbi”. E quindi: “no all’abolizione del porcellum, no all’arresto di Cosentino: la Consulta salva il principale strumento della Casta e la Casta salva uno dei suoi componenti. Ci dev’essere un legame”.

Lasciamo perdere qui le motivazioni che hanno portato al “no” per Cosentino, così come il fatto che lo stesso Parlamento, sei mesi fa, non aveva salvato Alfonso Papa. Alla luce della combinazione che ci offrono i due avvenimenti di ieri, il tema su cui vorrei aprire un dibattito è il sistema elettorale. In questo senso: ma in un Parlamento composto col mattarellum, quindi con la possibilità di indicare la preferenza, sarebbe andata diversamente la votazione su Cosentino? Ovvero, il comportamento “da Casta” che gli abbiamo attribuito oggi, si sarebbe verificato o no se i deputati li avessimo potuti scegliere come previsto dal referendum respinto?

Riflettendoci un pò io direi di no. Perchè la preferenza che esprimevamo nei 475 collegi uninominali per la Camera e 232 per il Senato non era poi così reale. Sceglievamo tra un candidato della coalizione di centrosinistra, uno della coalizione di centrodestra e uno per ciascuno dei partiti che correvano da soli. I nomi da votare, naturalmente, erano scelti dai dirigenti dei partiti, esattamente come quelli inseriti nelle liste bloccate che caratterizzano il porcellum. Spesso e volentieri si trattava di candidati che ci erano sconosciuti e, in fin dei conti, la preferenza la davamo alla forza politica più che alla persona. I 155 seggi restanti alla Camera, poi, venivano attribuiti col proporzionale a liste bloccate, cioè senza possibilità di preferenza, mentre gli 83 rimanenti al Senato, anch’essi da distribuire in base al proporzionale, andavano ai candidati perdenti più votati nei collegi uninominali.

Di conseguenza, pure col mattarellum il Parlamento era, e sarebbe stato, pieno di gente che non ci non avremmo mandato, se solo avessimo potuto. Fermo restando che è comunque sempre meglio esprimerla quella preferenza, per quanto limitata sia, piuttosto che non poterlo fare affatto. E fermo restando anche l’assunto che le preferenze non siano per nulla sinonimo di composizione totalmente rappresentativa del Parlamento, se non altro per l’assenza del vincolo di mandato. Però quantomeno ciascuno potrebbe scegliere di non votare più quel candidato, se il suo operato non è piaciuto. Sempre al netto di illeciti o deviazioni come il voto di scambio e del reale controllo degli elettori sui singoli eletti.

Bocciato il referendum, alle prossime elezioni il mattarellum non ci sarà. I partiti promettono di metter mano loro a una nuova legge elettorale; ma lo faranno davvero? E qualora lo faranno, garantiranno una maggior rappresentanza ai cittadini o troveranno un’altra maniera per continuare ad alimentare la Casta?

Se poteste farne una, quale proposta di legge elettorale avanzereste?

Votare in collegi provinciali plurinominali con sistema proporzionale o misto è la prima ipotesi che mi viene in mente, anche per dare un senso alle province. Ogni partito presenterebbe una lista di candidati più o meno ampia in relazione al suo peso in termini di iscritti (a livello provinciale, regionale o nazionale?); cosicchè gli elettori potrebbero operare una preferenza più effettiva all’interno del loro partito di riferimento. Come fossero primarie, ma effettuate direttamente al momento delle elezioni politiche. Per quanto riguarda le coalizioni, potrebbero costituirsi in liste uniche o separate; e anche nel secondo caso il patto elettorale lo stipulerebbero prima del voto, anzichè dopo come nella Prima Repubblica.

Insomma, di variabili ce ne sono tante e ogni proposta presenta per forza di cose problematiche e lacune più o meno rilevanti. La pretesa di possedere la soluzione, e soprattutto la migliore, non va d’accordo col buon senso. Ma un confronto di idee, quasi un brainstorming, anche ai limiti del fanta-diritto pubbllico, potrebbe essere oltrechè divertente e stimolante, anche concretamente propositivo. A voi la “penna”.

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SOS Ungheria

Viktor Orban | Foto blitzquotidiano.it

Ieri a Roma si è svolta una manifestazione ed è iniziato un sit-in da parte dei giornalisti italiani davanti all’ambasciata ungherese. Obiettivo, protestare contro le forti limitazioni imposte alla stampa dal governo magiaro, in carica dall’aprile del 2010. Le riforme costituzionali introdotte dal presidente Orban, e da tempo sotto la lente d’ingrandimento dell’Ue, hanno compromesso il pluralismo dell’informazione attraverso misure fittizie, come la redistribuzione delle frequenze che ha portato alla chiusura di ’Klubradiò, nota emittente dell’opposizione socialista. “La gente non sa come informarsi” – raccontava ieri sera Liana Mistretta, inviata di Rai News 24 – e chiede aiuto alle altre nazioni. A Budapest, evidentemente grazie alla Rete, tutti sapevano della manifestazione romana e molti l’hanno anche seguita in diretta radiofonica. “Mi hanno chiesto di esprimere tutta la loro riconoscenza all’Italia” – ha fatto sapere la Mistretta.

La svolta autoritaria del governo nazionalista ha colpito anche la cultura, con pesanti tagli ai fondi e la conseguente chiusura di molti teatri (vi ricorda niente?). Quando si toccano in senso restrittivo informazione e cultura (vi ricorda niente?) l’intento è chiaro. Se ci aggiungiamo anche la limitazione ai poteri della Corte Costituzionale e il controllo ormai sostanziale dell’apparato giuridico, la deriva ungherese è chiara anche troppo.

Il popolo ha iniziato a scendere in piazza, con una mobilitazione che il 2 gennaio scorso ha coinvolto tra le settanta e le centomila persone. Consapevoli che da soli non ce la faranno, gli ungheresi chiedono pressioni straniere per liberarsi dal governo (vi ricorda niente? Da noi poi è arrivato lo spread); l’Unione Europea, sempre ieri, ha annunciato sanzioni contro Orban sia per le insufficienti misure a riduzione del deficit sia per le leggi costituzionali autoritarie. Peraltro, non da oggi l’Esecutivo è accusato di aver truccato i conti dello Stato, questione che ci riporta in mente la Grecia.

Se nel 2011 sono stati gli ellenici il fulcro dei problemi europei, quest’anno l’Ungheria ha tutta l’aria di volerli sostituire. E la questione ha tutte le tendenze di una dittatura, altro che finanza.

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Anche a Torino spararono sulla folla. Era il 1864.

Il 21 settembre 1864 la Gazzetta di Torino annuncia che la capitale del neonato Regno d’Italia si sposterà dalla città sabauda a Firenze. E’ il frutto di un accordo raggiunto con il governo francese, che si impegna a sgomberare Roma in cambio della promessa italiana di non invaderla: per dimostrare di non essere capitale “ad interim” in attesa della Città Eterna, Torino cederà sì lo scettro, ma a Firenze.

Sotto la Mole la protesta si scatena subito, prima con lanci di pietre e tafferugli davanti alla sede della Gazzetta – che ha definito lo spostamento una buona notizia – poi sotto casa del sindaco; e dopo ancora

“in Piazza Castello, sotto l’ufficio del ministro Peruzzi: toscano e come tale sospettato di aver ordito lo scippo. All’improvviso un drappello di carabinieri esce dal palazzo e spara a casaccio sulla folla: dodici morti, quaranta feriti. Ma i torinesi non scappano. Si fanno sotto ai carabinieri, urlando: «Tira, carogna! Tira, caplòn! [cappellone]».

Il giorno dopo i contestatori sono cresciuti di numero. Scrive il De Sanctis, testimone oculare: «Il popolo mantiene un aspetto di tristezza taciturna che fa paura». In piazza San Carlo avviene la più assurda delle carneficine. Guardie e carabinieri si sparano fra loro, entrambi convinti di rispondere al fuoco inesistente dei dimostranti, e lasciano sul selciato decine di vittime raggruppate al centro della piazza sotto la statua di Emanuele Filiberto (il Caval d’Brôns).

Il Re si rende conto di aver sottovalutato gli effetti del cambio di capitale e offre ai concittadini lo scalpo del presidente del Consiglio Minghetti, emiliano, affidando il governo al piemontese La Marmora”.

(“La Patria, bene o male” | Fruttero – Gramellini | Oscar bestsellers, novembre 2011)

La Torino del 1864, per qualche giorno, come Tunisi, Il Cairo, la Siria, Tripoli e Bengasi, Sanaa e Aden, Manama, Teheran, tra il 2010 e il 2011.

Il palliativo di Vittorio Emanuele II come quelli di Ben Ali con Rafiq Belhaj Kacem, Mubarak con Ahmed Nazif, Bashar Al Assad con Muhammad Naji al-Otari, la giunta militare egiziana con Essam Sharaf.

I richiami della storia, naturalmente, non conoscono frontiere.

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