Borgna è già sindaco?

“Ai ballottaggi può succedere di tutto” – recita un adagio popolare che di politico ha solo la superficie. Tantopiù se si considera che Cuneo non è certo foriera di sorprese. Isola di continuità in un mare in tempesta, il capoluogo della Granda ha scelto Federico Borgna, cioè Alberto Valmaggia, dieci anni da sindaco e ora capolista dei fuoriusciti dal Pd. Ciò, nonostante i movimenti tellurici che hanno scosso la città dalle primarie in avanti, ma che sono stati avvertiti solo dai più sensibili, anche detti “meglio informati”. Sempre la minoranza.

Il risultato di Gigi Garelli non è stato negativo, in un contesto politico e mediatico in gran parte ostile. Ma cinque punti e mezzo, pur non essendo troppi, sono moltissimi da recuperare. Cuneo, storicamente centrista e con una classe dirigente più che consolidata, difficilmente permetterà il sorpasso di un “estremista” a un “moderato”. La superficialità delle etichette ha sempre la sua importanza. Qualche speranza al vincitore delle primarie possono darla l’astensionismo degli elettori di destra e il non astensionismo dei grillini.

Pdl, Fli e frange più estreme voteranno per l’amministrazione uscente (che, come detto, appoggia Borgna) rispetto alla quale stavano all’opposizione? Una parte di essi, pur di evitare la sinistra, magari lo farà; ma quanta parte? Il resto sarà astensione.

Il candidato dei grillini, com’era prevedibile, ha dichiarato che non appoggerà nessuno dei due sfidanti. L’8.36% che lo ha votato diserterà in massa le urne? Se così non sarà, difficilmente chi deciderà di votare sceglierà il sistema (Borgna) in luogo di chi del sistema non ha mai fatto parte (Garelli).

C’è poi l’incognita Lega, che ha raggranellato il 9.76% delle preferenze al primo turno. Qui vale un pò il discorso fatto per la destra e un pò quello sul Movimento 5 Stelle. La Lega non è di per sè un movimento esattamente inquadrabile tra destra e sinistra: sta dove gli fa più comodo, altrimenti sta da sola. E quando non può governare, preferisce stare da sola. Ciò sembrerebbe tradursi in uno scontato astensionismo. Ma se qualcuno dei leghisti andrà a votare, di che “corrente” sarà: di quella che vorrà evitare a tutti i costi la sinistra oppure di quella che “tanto vale cambiare”?

Sulle risposte a questi interrogativi si gioca una partita in cui i gol in trasferta valgono doppio.  Conti e valutazioni li potremo fare solo alla fine, perchè prevedere le scelte elettorali, specie a livello locale, è tutt’altro che una scienza. Ma ognuno può divertirsi ad azzardare i propri, tenendo presente che Cuneo non è certo foriera di sorprese.

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Instantbul [4. Arrivederci, Babele]

Nel nostro ultimo giorno di lavoro, usciamo fuori città e seguiamo gli abitanti di Istanbul nelle loro domenicali gite fuoriporta. Prendiamo un traghetto e attraversiamo tutto il canale del Bosforo, fin dov’esso si tuffa nel Mar Nero. Europa e Asia, nel punto più ampio, sono separate da meno di tre kilometri di mare, che si riduce a circa 500 metri nel tratto più stretto.

Superata Istanbul, piccoli paesini da villeggiatura s’innestano armonicamente nel verde che riveste le due coste. Eleganti e deliziose case addosso al mare ricordano Venezia; i turchi altolocati si trattano bene: basta loro uscire in terrazza, o nel giardinetto, per mettere i piedi a mollo. Durante l’ora e mezza di navigazione ci divertiamo a “rubare” scatti agli altri passeggeri, mestiere più delicato di quando lo si esercita per strada. Quei pochi che se ne accorgono rispondono con un sorriso o con l’indifferenza.

Sbarchiamo a fine corsa sulla costa asiatica e ci dirigiamo verso un castello di epoca romana, strategico per sorvegliare il transito da e per il Mar Nero; oppure punto di partenza per conquistare Istanbul: così lo utilizzò il sultano Mehmet II quando pose fine all’Impero Bizantino. Durante il tragitto in costante e ripida salita continuiamo coi nostri scatti furtivi; una giovane donna sente il mio otturatore e mi chiama divertita, vuole sapere perchè l’ho fotografata: “do you really find me interesting?” – mi chiede ridendo. In cima, la fatica viene premiata da una vista incantevole: il Bosforo si perde nel Mar Nero, avvolto dalla foschia del primo giorno senza sole. Almeno per il momento.

Il vastissimo e scosceso spiazzo verde intorno al castello si colora di gente, i resti delle mura ci offrono ottimi controluce per fotografare chi li percorre. Noi compresi. Un’atmosfera serena, rilassata e paradossalmente intima accomuna tutti: famiglie, coppie, gruppi di amici. Le foto di oggi racconteranno questo, carpendone le sfumature nei singoli contesti che ci circondano. Per riempire un’immagine del significato sufficiente affinchè possa essere trasmesso, occorre immedesimarsi nella situazione di chi metti nell’obiettivo, così da coglierne il più possibile dell’essenza.

Pranziamo in un ristorante con terrazza panoramica, scaldati dal sole che si è fatto intenso e dalla spiritualità di Cem, che ha la capacità di alleggerirmi riempendomi di positività e pace interiore. Poi rientriamo, stavolta seduti all’esterno del traghetto per goderci meglio panorami e delfini del Bosforo.

Facciamo un’ultima bevuta con Cem nel pub dell’ostello. Quando lo salutiamo sembra emozionato anche lui: quell’omone ci ha dato tanto, ma nel nostro piccolo abbiamo saputo ricambiare. E’ solo un arrivederci, perchè l’esperimento di questi giorni si trasformerà in workshops organizzati per fotografi professionisti e amatori. A Istanbul e nel resto della Turchia. Con Cem siamo d’accordo: è stato solo l’inizio.

n.b. Le foto verranno in seguito selezionate e inviate alla post-produzione in vista di esposizioni e pubblicazioni.

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Instantbul [3. L'Asia, di là dal Bosforo]

Istanbul è l’unica città del mondo a essere costruita a cavallo di due continenti. Perciò andiamo a trovare il secondo: l’Asia. Venti minuti circa di traghetto, due Lire turche (87 €c), e l’Europa resta un ricordo osservabile dall’altra parte del Bosforo. Tra qualche mese, poi, un nuovo ramo della metro abbatterà anche il confine naturale.

Il quartiere di approdo è diverso da tutte le Istanbul che abbiamo scoperto finora: più scarno e più spoglio, ma le case basse fanno sembrare tutto più spazioso, come se ci fosse più aria. E’ una zona residenziale, senza fronzoli ma serena; sembra anche meno popolosa, ma basta avvicinarsi a un luogo di preghiera per trovarlo affollato. E basta scendere verso la piazza e il bazar per cambiare completamente idea: è il solito brulicare di gente, eccezion fatta per i turisti stranieri, rari da queste parti.

Ci spostiamo con una piccola navetta verso un’altra zona, questa sì ricca di turisti, del tutto simile ad altre che abbiamo visto nella parte europea. “In questa municipalità sono tutti socialisti progressisti – mi spiega Cem – mentre nell’altra erano tutti conservatori. Se nasci qui, ma sei conservatore, vai a vivere di là; e viceversa. In questo modo non c’è nessun conflitto, nessuna rivalità”. Questo dal punto di vista politico; sul versante religioso la filosofia è opposta: in pochi metri quadrati ci sono una chiesa armena, una cattolica e una moschea. E nessun problema. “Dovrebbe essere così dappertutto” – chiosa Cem.

Lo stesso Cem ci delizia con le sue visioni della vita, con le sue indicazioni sulle migliori propensioni interiori e i modi per affrontare la quotidianità. Il delizioso baretto dove ci ha portati a prendere un caffè turco fa da contesto ideale a queste riflessioni. Cem, a dispetto delle sembianze, è un asceta. Senza di lui, nulla sarebbe stato così semplice e intenso. Girare da soli per Istanbul non è cosa semplice; è molto più facile perdersi. Tantomeno è facile girarla per un fotoreportage, arrivando là dove il turismo non arriva. Cem non è una guida convenzionale. E ce lo porteremmo volentieri a casa, perchè anche nella vita è facile perdersi.

n.b. Le foto verranno in seguito selezionate e inviate alla post-produzione in vista di esposizioni e pubblicazioni.

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Instantbul [2. Mo(n)di lontanissimi]

La seconda giornata a Babele è meno entusiasmante della prima, anche perchè Cem nella notte ci ha ripensato: la responsabilità di portarci nel quartiere curdo, giustamente, non se la prende.

Oltrepassiamo il Bosforo attraversando un ponte adornato di canne da pesca e riempito di ristoranti nella sua parte inferiore. Una volta di là siamo nel Corno d’Oro. Ci addentriamo nel quartiere Galata, colonizzato 700 anni fa dai genovesi. “Si considerano ancora italiani – ci dice Cem – parlano pure la vostra lingua“. Le stradine strette di ciotolato, coi colorati negozietti a contornarli, ricordano Granada.

Dalla cima della Torre Galata mi rendo meglio conto di cosa significhino “megalopoli” e “terzo centro municipale più poploso del mondo”. Istanbul è ovunque. Con sobborghi e turisti arriva fino a 20 milioni di persone che ne calpestano la storia; in questo, nella quantità di storia, è equiparabile a Roma, di cui raccolse l’eredità e la mantenne per mille anni, esattamente quanto durò la potenza della nostra capitale.

Proseguiamo poi nel quartiere internazionale; qui turisti, turchi e stranieri di ogni origine si mescolano com’è difficile vedere altrove. Poi iniziano i vari Gucci, Sephora, Zara e via discorrendo: nelle vie dello shopping, Istanbul diventa anche un non luogo, oltre a una Babele. Se non sapessi di essere dove sei, potresti tranquillamente crederti in una qualsiasi grande città europea. La quantità di giovani, oltre alla loro varietà, è assolutamente impressionante. Quelle che colpiscono di più sono le ragazze arabe dei ceti elevati: elegantissime anche nel velo.

Basta prendere una traversa a caso per abbandonare lo sfarzo e passare a una spartana quotidianità. Esci da una galleria con ristoranti di lusso e ti trovi in un caratteristico bazar mediorientale. In pochi centimetri, la vita presenta modi lontani di esser vissuta.

Decidiamo di pranzare in un self-service utilizzato dai lavoratori turchi per la loro pausa. Fa un pò effetto, dopo tutta quella rassegna di menù turistici, ma è la differenza che corre tra il viverla e il visitarla una città. Abbandoniamo definitivamente i non luoghi e i luoghi comuni per tornare nella Istanbul dei suoi cittadini. Quelli che si fanno fotografare come monumenti viventi e quelli che ti fanno solo un cenno timido o divertito, ma non abbandonano la loro attività: come sapessero che è la loro quotidianità quello che cerchiamo.

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Instantbul [1. Babele]

Istanbul è mille città. Una Babele di razze, colori, architetture, religioni. Una città europea costellata di minareti e una moderna kashba mediorientale. E’ la rambla di Barcellona e i quartieri impennati di San Francisco; le casette basse, appiccicate della borghesia londinese e la periferia ammassata di Parigi. Istanbul è un melange sconfinato di culture.

La nostra guida Sufi non sembra neanche un turco, ma un allegro vikingo sessantottino. Da Aya Sofia,  che per 1.600 anni ha visto uomini pregare, ci conduce alla scoperta della città vecchia, facendoci il più possibile evitare il turismo. Che fotoreportage sarebbe, altrimenti. Dieci ore che non ci stancano, perchè Istanbul è tutto, tranne che monotona. Cem, così si chiama il vikingo turco, la conosce palmo a palmo.

L’ospitalità, la socialità e l’allegria dei suoi concittadini ci entusiasmano subito. Nessuno, che siano giovani studenti coranici o apparentemente burberi anziani, rifiuta primi piani anche invadenti. Anzi, si prestano divertiti e vanesi, come si sentissero tutti dei monumenti viventi. Nelle viuzze più appartate, si affacciano alle finestre quando ci vedono passare armati dei nostri obiettivi. C’intrattengono a parlare come fossimo vicini di casa e vogliono ricevere le foto che abbiamo scattato loro; ce lo raccomandano decisi.

In poco tempo perdiamo il conto dei bicchieri di thè ricevuti in dono: basta uno sguardo interessato a un drappello di uomini seduti per strada e ci troviamo in mano l’ennesimo infuso. In questo modo si assicurano l’attenzione dei nostri otturatori. Due di noi provano anche l’esperienza di preparare la “pita” turca in un forno di un quartiere poco agiato.

Il bazar è infinito, tra e sulle sue bancarelle se ne vedono di ogni colore, sia uomini che oggetti, alimenti, spezie. E’ l’unico posto in cui Cem ci dice di fare attenzione ai nostri strumenti. Ma mai avvertiamo il minimo pericolo o problema. Pranziamo in un alimentari dove per farci sedere cacciano due turchi con la bocca ancora piena. Serviti e riveriti, spazzoliamo due o tre pietanze a testa per un totale di quindici Lire turche cadauno, circa 6.50 Euro.

Poi riprendiamo il nostro lavoro, sempre in compagnia di centinaia e centinaia di persone, tra quartieri residenziali, rudi, ma vivaci e zone più sfarzose, con vetrine di valore e palazzi di pregio. L’area universitaria ci regala una protesta studentesca con tanto di poliziotti in assetto antisommossa. Ma tutto resta tranquillo e si conclude tra slogan, applausi e sorrisi.

Salutiamo Cem dopo un caffè in un locale con terrazza panoramica nei pressi della stazione centrale e ci diamo appuntamento a oggi: passeremo dall’altra parte del Bosforo, visiteremo quartieri ancora più europei, compresa una frazione abitata da generazioni di genovesi; poi il quartiere curdo e rom: “entriamo, ma se vedo che le cose prendono una brutta piega ce ne andiamo immediatamente e di corsa” – ci avverte Cem.

Abbiamo l’eccitazione sufficiente per tornare una mezzora in ostello e ripartire per un giro autonomo, che concludiamo a rilassarci in riva all’ingresso del Bosforo. Un andirivieni di delfini piazza la classica ciliegina sul nostro melange di emozioni.

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Sabrina Bennet?

Vi è mai capitato di guardare un film e riconoscere in esso il personaggio di un libro che nulla c’entra con quel film?

Certo, solo in parte intendo, perchè in toto sarebbe quantomeno curioso: o sareste voi ad avere le traveggole o sarebbe l’autore del film a essere in debito col copyright.

A me è capitato guardando “Sabrina”, commedia del 1954 diretta da Billy Wilder e con un cast d’irripetibile spessore: Audrey Hepburn, Humphrey Bogart, William Holden.

Nella personalità dapprima riflessiva e romantica, poi anche scanzonata, ironica e gioiosa di Sabrina ho rivisto i tratti di Elisabeth Bennet, l’eroina austeniana di “Orgoglio e Pregiudizio”. Paragone azzardato come tutti quelli attuati tra contesti diversi; ma al di là dei tratti caratteriali, che possono essere opinabili, c’è anche un parallelo narrativo.

Sabrina, come Elisabeth, è la donna posata, elegante e a modo che fa da contraltare a un’altra Elisabeth, stavolta Tyson: superficiale, antipatica ai limiti del fastidioso, arrogante, banale, poco intelligente. Insomma, la Lydia di “Orgoglio e Pregiudizio”. Ma non è tanto questo il parallelo.

Sabrina è innamorata sin dall’infanzia di un uomo affabile, incorregibile sciupafemmine, amante della bella vita. Esattamente come accade a Elisabeth nella sua prima infatuazione, anche se a lei le ultime due caratteristiche erano state ben celate. L’unione agoniata da Sabrina  è però malvista, in ragione delle stesse dinamiche sociali che intridono “Orgoglio e Pregiudizio”. Perciò, il personaggio di Audrey Hepburn si trova a frequentare quello che credeva un freddo uomo d’affari, incapace di galanteria e amabilità. Col passare del tempo dovrà invece ricredersi, perchè ne scoprirà bontà d’animo, propensione ai sentimenti e maniere da sicuro gentiluomo.

Qui sta il parallelo con Elisabeth Bennet. L’eroina della Austen disprezza un nobile dai modi altezzosi e scontrosi, austeri e vuoti di umanità. Ma anche lei, nonostante gli eventi non siano per nulla paragonabili, dovrà sorprendersi a stravolgere le proprie certezze dinnanzi a un uomo che scoprirà profondamente diverso da quello che aveva imparato a conoscere.

Tanto Sabrina quanto Elisabeth, dunque, proveranno quanto imprevedibili siano le vie dell’amore.

p.s. Come nota di colore, potrei aggiungere un ulteriore parallelo, cioè che libro e film mi sono stati  consigliati entrambe dalla stessa persona. Ma questa è solo una scusa per esprimerle tutta la mia gratitudine.

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Orgoglio e Pregiudizio. Perchè lo rileggo

Quando ho finito di leggere “Orgoglio e Pregiudizio” ho avvertito subito la sensazione che la mia avventura con quel libro non era terminata. Ma ho creduto fosse una normale reazione a caldo: un romanzo che ti appassiona, ti coinvolge e ti pervade di emozioni vorresti subito ricominciare a leggerlo. Così l’ho rimesso al suo posto, in mezzo ad altri classici, che in quel momento mi sono sembrati solo libri qualsiasi.

Però no, non era soltanto una normale reazione a caldo; quelle pagine ti costringono a ripensarle spesso. Non c’è mai nulla di casuale nella costruzione di un racconto, ma la trama che ha ordito Jane Austen ha qualcosa di diverso. Ti fa credere che un passaggio serva solo a raccontare emozioni e carattere di un personaggio, senza che abbia una rilevanza particolare per il successivo svolgersi degli eventi. Poi invece scopri che si trattava di una circostanza cruciale per il futuro della storia. Ti distoglie dalla trama infilandoti nei pensieri e nelle emozioni della protagonista, facendoli vivere con un’efficacia tale da sembrar che lei sia il racconto stesso (non faccio qui nomi ed esempi concreti per non snaturare l’approccio a chi non l’ha ancora letto, per non dare appigli e riferimenti). Lo rileggerò dunque per riconoscere gli stratagemmi della Austen senza farmene guidare, per apprezzarne le sfumature, per gustarmi con chiarezza i collegamenti tra i prima e i dopo e ammirarne la costruzione.

La maniera netta, schietta e a volte impietosa con cui la scrittrice ha dipinto i personaggi sembra ogni tanto confondersi col modo profondo in cui la protagonista osserva gli altri. Sono punti di vista di una donna sola o di due donne diverse? E poi questo, il punto di vista della donna, finalmente presentato, sviscerato, emancipato da quello dell’uomo. Uomini, donne e situazioni sono affrontati con e passati al vaglio della “psicologia” femminile. Dell’epoca della reggenza, certo, ma quanta di quella “psicologia” può essere attualizzata? La Austen ha portato prepotentemente in superficie l’essenza della donna e lo ha fatto così pienamente da essere oggi icona, punto di riferimento e termine di paragone per la parte migliore del mondo in rosa. E non si rivolgeva affatto solo alle donne, non le presentava solo a loro stesse. Quanto può aiutare a capire più profondamente l’altra metà del cielo?

L’ironia che pervade il romanzo dalla prima all’ultima parola è forse qualcosa in più di uno stile di scrittura. E’ una visione del mondo, di quel mondo e delle persone. Scanzonata, ma profonda; elegante, ma ribelle. Come la protagonista. Ricordo che il mio stato d’animo tendeva a predisporsi più facilmente verso quel modo di osservare le cose, la gente. E mi sollevava, mi rasserenava, mi alleggeriva la mente. “Vivere” certe atmosfere, “vedere” certe espressioni, confrontarsi col modo di viverle e vederle della protagonista ti cattura e non ti lascia nemmeno quando il libro ce l’hai chiuso. Ed è da quando l’ho chiuso l’ultima volta che lo voglio riaprire. Non c’è nulla di superficiale dentro Orgoglio e Pregiudizio, anche per questo lo voglio rileggere.

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Cuneo underground

La vittoria di Gigi Garelli alle primarie del centrosinistra ha destabilizzato l’ambiente politico cittadino. Non solo perché si tratta di un personaggio esterno agli schemi classici e consolidati, ma anche perché il suo primato è giunto in un contesto d’inaspettato successo per l’istituto delle primarie.

Inaspettato almeno quanto la svolta impressa poi al quadro politico dal sindaco Alberto Valmaggia. La sua dissociazione da Garelli, netta, improvvisa e stridente con la funzione di garanzia che egli aveva ricoperto in seno alle primarie, ha contribuito a rimettere sotto i riflettori la sua appartenenza a Cuneo Solidale, forza avversa fin da subito alle primarie stesse e al candidato uscitone vincitore.

Espressione politica dei poteri forti della città, diocesi e Fondazione Crc, la lista civica che portò Valmaggia sulla poltrona di sindaco vede infatti Garelli come un punto di rottura con lo status quo di circa due decenni. Uno status quo che non manca di ombre. In particolare sulla Fondazione Crc, i cui movimenti dietro le quinte della scena politica cuneese sono stati oggetto, lo scorso 12 gennaio, di un’interrogazione parlamentare del Senatore Giuseppe Menardi.

In sostanza, Gianluigi Gola e Giuseppe Ferrero, in qualità di soci nella P.A.B., versarono 200.000 €, cento a testa, nelle casse vuote della Linea Computer, impresa di cui era ed è tuttora socio il presidente della Fondazione Crc (allora Fondazione CariCuneo), Ezio Falco. Al momento della transazione, Gola era presidente del Collegio Sindacale della Fondazione stessa, mentre Ferrero, costruttore edile, era stato incaricato di ristrutturare un immobile sito in Via Roma, 13: la ex Sala Contrattazioni di proprietà della Fondazione. Totale dei lavori, circa 1.200.000 €. Come si legge nell’interrogazione agli atti del Senato, Gola e Ferrero non erano soci soltanto nella P.A.B., ma anche in altre aziende, come Polo Grafico SpA ed Edilquattromila.

Questi fatti risultano “non contestati dalla parte offesa” all’interno dell’ordinanza di archiviazione che il Gip di Saluzzo, Alberto Boetti, ha emesso a conclusione della sentenza pronunciata in favore di Giuseppe Menardi, querelato da Gola per aver ricostruito quelle informazioni ed averle racchiuse in uno scritto. Inoltre, come pubblicato anche dal settimanale ViverMeglio, lo stesso giudice ha aggiunto che “i rapporti d’affari tra membri del Consiglio di amministrazione (Ezio Falco, ndr) e del Consiglio Sindacale (Gianluigi Gola, ndr) suscitano perplessità sul corretto rapporto organo di controllo – organo gestorio, che dovrebbe essere garantito dal Codice Etico della Fondazione”. Violazione del Codice Etico invocata pure dal Senatore Menardi, che nella sua interrogazione parlamentare richiama anche il Codice Civile.

Queste vicende erano già state denunciate nel maggio 2011 da Piero Bertolotto, presidente della Bre; egli, nel febbraio 2010, venne nominato dalla Fondazione Crc nel consiglio di gestione di Ubi Banca, dal quale la stessa Fondazione lo estromise appena una ventina di giorni dopo, sostituendolo proprio con Gianluigi Gola. A conoscenza di quegli episodi, Bertolotto li svelò alla Questura, portando sulla scena anche i politici. Raccontò infatti di alcuni colloqui avuti col sindaco Valmaggia e con l’assessore Guido Lerda a proposito della quota di 100.000 € che Ferrero passò alla Linea Computer di Ezio Falco. Lerda, secondo Bertolotto, si disse preoccupato per quella transazione, eseguita col benestare del commercialista Pierfranco Risoli, socio di Gola nella Paper-One e membro del CdA della Fondazione Crc.

Anche Menardi chiede conto dei rapporti con gli amministratori cuneesi. Nell’atto dell’interrogazione si legge: “Risulta altresì all’interrogante che di questa elargizione siano a conoscenza, secondo le modalità che potranno essere meglio accertate, il direttore dei lavori di cui si tratta, che è anche assessore comunale, ingegner Guido Lerda, e lo stesso sindaco di Cuneo professor Alberto Valmaggia”.

Spunta così anche un altro elemento: l’assessore Guido Lerda, ingegnere, è il direttore dei lavori da 1.200.000 € assegnati a Giuseppe Ferrero. Il suo Studio si è occupato di realizzarne il progetto architettonico.

Insomma, il substrato affaristico che pervade l’establishment politico-economico cuneese è così venuto a galla mostrando almeno alcuni dei suoi aspetti. Nulla di penalmente rilevante, anche secondo quanto ha potuto constatare il Gip Boetti, ma sicuramente le voci che sospettavano di affari poco cristallini all’interno della classe dirigente cittadina trovano ora riscontri concreti. Di tutta la vicenda si parlerà il prossimo 19 marzo, nel corso di una serata intitolata “La Casta (della) Fondazione: due anni di domande senza risposta a Cuneo”. Si terrà in corso Dante 19, presso il palazzo della Provincia, nella Sala Falco (ironia della sorte) è vedrà gli interventi, tra gli altri, di Piero Bertolotto e Giuseppe Menardi.

Sul fronte politico, la “svolta di Valmaggia”, punta dell’iceberg dello scompiglio creato dal trionfo di Garelli alle primarie, ha dato il via al “fronte della continuità”, con Federico Borgna candidato sindaco. Lo appoggiano l’UdC e quattro liste civiche: “Democratici per Cuneo”, costituita dai fuoriusciti dal Pd e a capo della quale si ventila possa essere candidato lo stesso Valmaggia; “Cuneo Più”, nelle cui file milita Alberto Parola, avversario (di centrodestra) del Primo Cittadino alle ultime comunali; “Cuneo Solidale”, del presidente Ezio Falco; “Centro Lista Civica”, di Mauro Casadio, consigliere generale della Fondazione, e Domenico Giraudo, il cui padre, Sergio, è anch’egli membro dello stesso Consiglio Generale. Una coalizione che si configura dunque come “fronte della Fondazione” e mette insieme pezzi delle attuali maggioranza e opposizione.

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La morte del giornalismo? Cercatela tra le “necessità editoriali”

Molto spesso noi giornalisti siamo oggetto di facili ironie e semplici stereotipazioni. Eseguite ad arte, perlopiù populisticamente, da chi parla senza conoscere l’argomento del suo discorrere.

E’ bene che tutti sappiano, o ricordino, che esistono editori che il giornalismo lo uccidono ogni giorno. Per non piegarsi ad interessi da cui blaterano di essere indipendenti. Un tempo – ma ci sono anche oggi, ben inteso – esistevano quelli che pur di essere i primi a dare una notizia scomoda, avrebbero pagato. Oggi, invece, spesso ti piove addosso il contrario: pur di farla dare prima a qualcun altro, ben sapendo che nessuno la farà uscire, venderebbero le loro madri. E questa è la morte autentica non solo del giornalismo, ma più in generale dell’informazione.

E’ bene che lo sappiate, prima di aprire bocca a sproposito con il culo su una poltrona calda. Ed è bene che anche gli editori sappiano che nel Terzo Millennio l’informazione non la fermi. E che se non la vuoi dare tu per primo sei solo uno squallido perdente. Senza problemi e coi soldi in tasca, ma pur sempre un perdente. Perchè esistono tanti lettori che sanno come far girare le notizie, fino a dar loro l’eco che i potentati preferirebbero non raggiungessero.

Su questo blog pubblicherò sempre ogni virgola di ciò che la stampa tradizionale mi rifiuta. Gratis, senza copertura legale e soprattutto senza nessuna paura.

A molto presto.

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“Mai più paura”

Lina Ben Mhenni

Lina Ben Mhenni, attivista e docente tunisina di 28 anni, è uno dei simboli della Rivoluzione dei Gelsomini. Attraverso il suo blog “A Tunisian Girl” ha mostrato al mondo le scene di violenza e repressione che si verificavano in Tunisia durante gli scontri tra manifestanti e forze di sicurezza del regime. Questo suo forte impegno di denuncia e informazione – nonché servizio al popolo tunisino – le è valso la candidatura al Nobel per la Pace 2011 (vinto poi da altre tre donne per l’impegno in Africa e nel corso della Primavera Araba, ndr). Destituito Ben Ali, nel Paese si sono finalmente tenute elezioni libere. Ma la lotta di Lina per la democrazia non è terminata, perché, ci spiega, la Rivoluzione dei Gelsomini è stata tradita dal suo seguito.

Se dovessi descrivere con un titolo che cosa è cambiato in Tunisia dopo Ben Ali, cosa scriveresti?

Mai più paura.

Quali sono le somiglianze più preoccupanti tra il regime di Ben Ali e il governo di Ennahdha?

Una rivoluzione implica una rottura totale con il passato e con il regime spodestato. Ciò include le scelte economiche, politiche e sociali. Quando osserviamo la situazione della Tunisia in questo momento possiamo notare che le scelte del governo di Ennahdha e dei suoi alleati sono in continuità con quelle del regime decaduto. Come esempio possiamo citare il modello economico liberale, che sta dietro alla maggior parte dei problemi economici del Paese, insieme alla disoccupazione e all’emarginazione di una grande parte della popolazione. Politicamente, Ennahdha ha perseguito la strada tracciata da Ben Ali nella volontà di soddisfare l’alleato americano del passato: ciò ha contribuito a ridurre il ruolo del nostro Paese a quello di agente al servizio degli Stati Uniti. Per cui le scelte fatte vanno contro le libertà del popolo, che vuole liberarsi e avere la propria dignità.

Ben Ali, spinto – come hai anticipato tu – dai governi occidentali a fare da diga contro l’estremismo islamico, ha basato con eccessiva decisione il suo regime sulla laicità. Secondo te, il trionfo elettorale di un partito islamico come Ennahdha è più figlio di una reazione naturale alla repressione verso la religione operata da Ben Ali o piuttosto delle riforme promesse durante la campagna elettorale? Come ha condotto la campagna elettorale Ennahdha e quali sono state le sue promesse?

La repressione del regime di Ben Ali contro gli islamici che pregavano nelle moschee ha giocato un ruolo molto importante nelle scelte dei tunisini. In effetti, i leader di Ennahdha hanno vestito, e continuano a vestire, i panni delle vittime; ogni volta che vengono interrogati sui reali problemi del Paese ci tirano fuori questa storia delle vittime, come se fossero i soli ad aver subito repressione e torture. Ma hanno anche giocato la carta delle promesse, tra cui quella di 600 mila posti di lavoro in due anni. Durante la campagna elettorale, però, hanno anche promesso il paradiso a coloro che li avrebbero votati. Si presentavano come il partito di Dio e presentavano i leader degli altri partiti come dei miscredenti.

Considerando la tendenza verso il fondamentalismo islamico che stai denunciando, quali possono essere le vie per trovare il giusto equilibrio tra religione e democrazia in Tunisia? Le autorità si preoccupano di questo? Che cosa potrebbero fare in questo senso?

Le autorità chiudono un occhio su tutti gli attacchi alla libertà, per questo le considero complici. Se ci sono delle pressioni da parte della popolazione, loro mettono in atto reazioni che non sono decisive e non risolvono i problemi. Devono agire contro tutte le violenze.

Nella società civile c’è chi, come te, denuncia la situazione utilizzando i mezzi d’informazione; ma c’è anche chi lo fa in maniera più tragica e disperata, immolandosi. Durante il primo mese del 2012 sono già state cinque le persone immolatesi. Avete dimostrato con Ben Ali di saper prendere in mano le redini della situazione per cambiare il vostro Paese. Adesso il popolo tunisino in che misura è deluso dalla rivoluzione? Questa delusione gli darà la forza di tornare in piazza o invece ne ha fiaccato le speranze? Pensi possa tornare a protestare una moltitudine di gente equiparabile a quella di un anno fa?

I tunisini hanno visto della gente battersi per conquistare il potere, non persone che vogliono cambiare la situazione di questo Paese e dei suoi cittadini. Chi è al potere adesso non lavora per realizzare gli scopi della Rivoluzione, che per la maggior parte erano sociali: occupazione e dignità. Hanno creato altri problemi e hanno diviso ancor di più la popolazione. Non so se la gente protesterà nuovamente come l’anno scorso, ma so che ci sono sit-in e manifestazioni dappertutto, che altre persone si sono immolate dandosi fuoco. Qualche giorno fa, mentre passavo davanti alla kasbah ho visto una folla reclamare le dimissioni di questo governo. La manifestazione per le libertà che si è tenuta sabato 28 gennaio ha visto la partecipazione di più di 6.000 persone. La popolazione continua a protestare perché questo sistema di capitalismo selvaggio non ha risparmiato nessuno.

Realisticamente, tu cosa vedi nel futuro della Tunisia?

L’immagine è fosca. Non posso prevedere gli eventi, tuttavia non vedo alcun miglioramento per quanto riguarda gli scopi della Rivoluzione. Il numero dei disoccupati è aumentato, la gente fa sit-in per protestare e chiedere ai governanti di assumersi le proprie responsabilità. Per tutta risposta, lo sceicco Sadek Chourou, esponente di Ennhadha, nel suo discorso all’Assemblea Costituente del 23 gennaio scorso ha detto che dietro i sit-in c’è la sinistra e ha invitato a spezzare mani e gambe a chi vi partecipa.

* Sadek Chourou è uno sceicco di 63 anni. E’ stato tenuto in prigione dal regime di Ben Ali per vent’anni, gran parte dei quali in isolamento; liberato dalle autorità tunisine il 30 ottobre 2010 è stato eletto nelle file di Ennahdha dopo la Rivoluzione.

(Articolo pubblicato su TGregione.it)

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